L’ultimo romanzo di Ermanno Cavazzoni, Il gran bugiardo, edito per La nave di Teseo (Milano 2023), si svolge nell’arco di una settimana e il suo apice narrativo cade a cavallo tra l’11 e il 12 settembre 2001, una data storica, luogo di memoria collettiva che nel testo però svolge la funzione di semplice ingranaggio per una vicenda minore, secondo un procedimento di abbassamento, tipico del comico, che si riscontra anche in un’opera di Learco Pignagnoli, la numero 262: «L’11 settembre del 2001 è un giorno che non mi scorderò mai più. Ho preso una multa di 650 mila lire» (Learco Pignagnoli, 14 sensi e 26 Opere complete inedite, in Esplorazioni sulla via Emilia, Quodlibet, 2016). La storia è quella di Nicola XY, abbreviato a Nic dai suoi famigliari; un nome piccolo, alla cui biografia insignificante il personaggio non riesce a sottostare. Nic lascia il suo paese natale, in provincia di Pesaro, per trasferirsi in una città universitaria, mai nominata nel testo e le cui vie e piazze portano tutte nomi di gran bugiardi della letteratura italiana. La sua intenzione è quella di studiare medicina, facoltà a cui è iscritto. Ma Nic non riesce a concentrarsi, a dare esami. E di fronte alla crescente preoccupazione dei genitori e, in particolare, ai singhiozzi della madre al telefono, senza alcuna premeditazione, un giorno Nic inciampa in una prima bugia:
«“Mamma, è andata,” le ha detto, non ci aveva pensato prima, non c’era stato calcolo, era una bugia esile a fin di bene, chi non ne ha dette? Sua madre un’esclamazione: “È andata? Me lo sentivo, me lo sentivo!” e comunque ha pianto, erano tre anni che questo tipo di pianto lo voleva fare, e gli ha passato suo padre, che aveva in mente la ramanzina finale, o dai l’esame entro il mese o non vedi più un soldo, e ti metti a lavorare, come faccio io, un p’ diffidente, e che voto hai preso? La risposta a questo punto era d’obbligo: trenta. Anche se sua madre protestava: l’importante è che sia passato. “Trenta?” ha ripetuto suo padre che aveva fatto la scuola dell’obbligo ed era abituato a voti dall’uno al dieci. E poiché dal tono gli era parso non contento del tutto, sulla spinta della bugia, come slancio d’affetto sincero, ha aggiunto: “E la lode, trenta e lode”» (p. 21).
Nic inizia a collezionare menzogne, a scivolarci dentro: «Aveva cominciato con una modesta bugia, rimediabile, non sapeva che era il primo passo in quel gorgo che l’ha poi inghiottito» (p.19). Non è un truffatore, non mente mai con coscienza, ma per una vocazione interiore a negare sé stesso per essere qualcun altro, qualcuno di migliore di lui. Falsifica così la realtà continuamente, in modo patologico, di fronte a chiunque gli chieda conto della sua identità, inseguendo degli impulsi che lo abitano, tensioni improvvise ad aderire totalmente ai desideri, ai sogni di chi gli sta di fronte. Fino a quando la menzogna prende il sopravvento sulla realtà e Nic si allontana dalla sua biografia, che viene sempre più negata, per diventare semplicemente un attore che interpreta i ruoli dei personaggi che ha creato, come suggerisce l’immagine di copertina del romanzo (Luigi Serafini, da Pulcinellopaedia Seraphiniana, 1984), Pulcinella che si toglie la maschera e mostra il vuoto di un volto che non c’è.
In un movimento quasi sonnambolico, da marionetta costretta a muoversi al tirare dei fili, la vera identità di Nic si azzera per lasciare il posto a cinque possibili destini, che lui non ha inventato – «perché era scarso d’immaginazione» (p. 9), ci viene suggerito dal narratore – ma ha semplicemente eseguito, sulle tracce di figure stereotipate che aderiscono all’immaginario scarno dei suoi interlocutori: il barbone che mangia alla mensa dei poveri, il medico in carriera, il santo curatore, lo scrittore affermato di libri rosa, il direttore d’orchestra. Personaggi definiti nel ruolo preciso e rassicurante che rivestono e che nasconde il segreto di una crisi esistenziale angosciosa che contagia il lettore che non può fare a meno di sentirsi tirato in mezzo. Il romanzo si sviluppa così in una molteplicità di direzioni, corrispondenti alle vicende occorse ai personaggi che Nic di volta in volta impersona, in un intreccio che ricorda l’entrelacement ariostesco dell’Orlando furioso. Cavazzoni realizza un meccanismo a orologeria, perché “il gran bugiardo” è la prima vittima delle proprie frodi, agisce da bestia braccata e la morsa a cui si auto-condanna è destinata a chiudersi sul suo destino. Se il romanzo è comico, il personaggio infatti risulta senza dubbio tragico, votato al fallimento. Nic, o Oscar, o Olindo Olgiati-Parenti, o Luc Barbaresco o come si preferisca chiamarlo, non è però un personaggio deprecabile. Semplicemente porta allo stremo – ed è in questo il suo dato di comicità – una vocazione, quella del mentire, che ci accomuna tutti. E forse la letteratura non è altri che una grande bugia, sembra suggerire Cavazzoni attraverso la toponomastica della città immaginaria in cui è ambientato il romanzo. Per citare alcuni riferimenti: Nic vive in via Schicchi, come Gianni Schicchi, falsario di persona incontrato da Dante nella X bolgia dell’Inferno; l’editore deciso a pubblicare il libro di Luc Barbaresco, alias Nic, che lui non ha mai scritto ma che ha incautamente presentato come suo a Mirta, una bella ragazza di cui si invaghisce e su cui vuole fare colpo, si trova in via San Ciappelletto, esplicito richiamo alla prima novella del Decamerone di Boccaccio.
Ma si tratta di una bugia necessaria, come sapeva il Kublai Kan di Italo Calvino, imperatore dei Tartari, che pur comprendendo l’ambiguità dei racconti di Marco Polo sulle città da lui visitate, non poteva far altro che continuare ad ascoltarlo, perché «solo nei resoconti di Marco Polo, Kublai Kan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana d’un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti» (Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Milano 1993, p. 50). È in questo un segreto della letteratura, che deviando dalla realtà presta un’àncora di salvezza contro i crolli di storie piccole e grandi. Una bugia collettiva, patologica. D’altro canto, «i sogni sono come le bugie […], che ci caschi dentro senza preavviso e non vorresti svegliarti mai più» (p.95).
Ermanno Cavazzoni, Il gran bugiardo, La nave di Teseo, Milano 2023, 208 pp., 19 euro