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Non tutta la letteratura è fantastica: “L’anno del fuoco segreto”

La “letteratura del soprannaturale” è un campo piuttosto ampio. La si può intendere con la narrativa che raffiguri al proprio interno uno o più elementi che non sono in accordo con il nostro sistema di rappresentazione del reale, e quindi fatti o entità che il lettore considera naturalmente impossibili, come il ritorno dei morti, l’apparizione di oggetti dal nulla e così via. Ci sono tanti tipi di letteratura del soprannaturale: il fantastico, il surreale, il fantasy e così via, in una sequela di possibili classificazioni che non è mai completa e che avanza con lo svilupparsi della cultura letteraria.

Elementi soprannaturali sono presenti nelle letterature da sempre. Eppure, ancora oggi è incredibilmente complesso parlare di narrativa del soprannaturale in Italia. E questo non per la narrativa in sé – per il suo contenuto, per le sue storie, per i suoi lettori – ma per tutto ciò che vi ruota attorno.

È placito che, per tutto il Novecento, il soprannaturale letterario abbia destato una certa diffidenza tra gli intellettuali. Ed è placito che le infinite cautele, i distinguo che alla critica sono parsi necessari per poter trattare questi testi così poco realistici possano ormai essere materiale di studio a sé, ed è davvero superfluo riassumere ancora una volta la rilevanza delle lettere di Manzoni sul romanticismo, dell’opinione di Benedetto Croce, del fantastico “ironico”, eccetera eccetera.

Quello che non è del tutto placito, invece, è come la situazione ad oggi sia mutata in maniera ambigua. Da un lato la narrativa di genere – compresa quella con elementi soprannaturali – è sempre più presente tra gli studi critici, nelle università e nei convegni. Dall’altro, è evidente che l’imbarazzo nei confronti di horror, fantasy, sci-fi non sia affatto scomparso. È semplicemente stato trasposto in una veste occulta, sotterranea, una corrente che continua a spingere anche là dove la narrativa del soprannaturale è accettata o addirittura celebrata.

Ciò è evidente nel dibattito attorno alle nuove narrative del soprannaturale che si sarebbero sviluppate in Italia negli ultimi anni. Il dibattito ha avuto qualcosa di paranormale in sé, dilatandosi nel tempo e tra gli spazi, venendo condotto tra convegni, piattaforme social e prefazioni, tanto che è davvero difficile riassumerlo (lo ha fatto Marta Rosso su Le parole e le cose). Sintetizzando, negli ultimi venti-trent’anni l’Italia avrebbe visto nascere delle narrazioni basate su elementi soprannaturali o immaginifici; per classificarle sono state proposte diverse categorie più o meno strutturate: New Italian Weirdness e Novo Sconcertante Italico, con la proposta anche di un intero “Canone strano”.

Alcuni di questi filoni, pur proponendosi come “nuovi”, si sono sostanzialmente posti in continuità con la tradizione del soprannaturale letterario italiano novecentesco di stampo “calviniano”, un canone che comprende lo stesso Calvino, Palazzeschi, Zavattini, Savinio e così via, con produzioni caratterizzate da un uso ironico e fittamente letterario del soprannaturale (senza mai dimenticare, naturalmente, i riferimenti alla tradizione più antica e illustre, soprattutto Dante e Ariosto).

I critici non hanno quasi mai fatto riferimento alla narrativa del soprannaturale italiana popolare, quella pubblicata sul “Corriere della Sera” (analizzata da Fabrizio Foni in varie pubblicazioni, su tutte Alla fiera dei mostri), quella delle uscite dell’editore Ponzoni e de I racconti di Dracula dell’editore ERP (recentemente riprese da Sergio Bissoli), quella legata al revival dell’occulto italiano (di cui si è occupato ampiamente Fabio Camilletti). Marco Malvestio in un articolo apparso su The Italianist ha indagato approfonditamente le meccaniche di ritorno del soprannaturale calviniano e continiano nella narrativa contemporanea, sottolineando come la pretesa di novità – spesso legate all’uso del termine “weird”  – dei nuovi movimenti immaginifici italiani nascondesse una conflittualità mai veramente risolta, e la necessità di ripresentare ancora una volta un soprannaturale colto, pulito, che di weird ha poco o nulla, “nella sostanziale mancanza di una vera ibridazione, di una contaminazione tra forme espressive che non sia, in definitiva, letteraria e parzialmente anestetizzata”.

Riecco allora la spinta della corrente ctonia di cui sopra, un flusso che tende a rimestare le acque a livello terminologico e a rendere più difficile la comprensione dei fenomeni culturali. E a me sembra che L’anno del fuoco segreto, l’antologia del Novo Sconcertante Italico, curata da Edoardo Rialti e Dario Valentini e da poco edita per Bompiani, sia ben esplicativo di questa situazione.

Questo libro nasce da un ciclo di racconti pubblicato originariamente su Nazione Indiana, al quale si sono poi aggiunte altre firme. La raccolta ha fatto subito parlare di sé per una campagna di marketing forse un po’ troppo aggressiva, che ha inizialmente presentato il volume come “la prima antologia di new weird italiano”. Ne è seguita una polemica sui social, a volte dai toni abbastanza accesi; in seguito il tiro è stato aggiustato, le dichiarazioni iniziali smorzate, e lo stesso Rialti ha specificato in un’intervista su Il Tascabile che:“Non avevamo né abbiamo la pretesa di definire o appropriarci di alcunché, ma di intercettare a modo nostro e valorizzare un campo di energia, un fermento e delle tensioni che sentiamo per primi stimolanti”. Francamente non ho mai creduto che i curatori pensassero davvero di aver messo insieme la prima antologia di new weird o weird italiano. Ma, per quanto i comunicati stampa siano sempre da prendere con le pinze, penso anche che l’allusione al new weird in rapporto al Novo Sconcertante Italico sia un indicatore importante per la comprensione dell’opera.

Come annunciato dai curatori nella prefazione, la raccolta intende “additare le strade di una possibile fase nuova dell’orizzonte immaginativo condiviso” (p. 11), raccogliendo i testi senza “programmi, richieste o schemi da confermare” (p. 12). L’obiettivo è “La fuga da categorie e definizioni previe, l’invito al fantastico è il richiamo d’una continua pulsante anomalia rispetto a sé stesso, qualcosa che appena si crede di nominare, è già perduto, già altrove” (p. 10).

Pur senza volere indulgere in un atteggiamento pedante verso ciò che è “fantastico”, il riferimento a questo termine – e, poche righe prima, al “weird” – lascia intendere che il soprannaturale debba avere una parte preponderante in questi testi.

Eppure, ciò che emerge dalla lettura dell’antologia è un rapporto fluttuante con la propria materia d’elezione. Nei venti racconti della raccolta, infatti, il soprannaturale riveste forme sempre differenti, a volte assumendo una rilevanza tale da occupare tutto il quadro, a volte riservandosi un posto minuto o addirittura scomparendo del tutto.

Alcune storie ricorrono alle formule del fantastico ottocentesco, magari mantenendo ambiguità sull’effettiva presenza del soprannaturale all’interno della vicenda (i testi di Zandomeneghi, Morstabilini e Lipperini). Altre storie potrebbero essere ricondotte al weird, poiché presentano un soprannaturale inafferrabile, caratterizzato dall’impossibilità di comprenderne le dinamiche oppure talmente pervasivo da invadere ogni aspetto della quotidianità (in parte il racconto di Pugno e, soprattutto per l’aspetto formale, quello di D’Isa). Altri ancora propongono un contesto verosimile basato su regole diverse rispetto a quelle del nostro mondo, e virano perciò in direzione del fantasy (Santoni, Recchioni)e del new weird (Kulesko, Magini).
Il rapporto tra verosimile e soprannaturale è alla base della componente di “irruzione” nel reale solitamente associata proprio al fantastico e ai generi affini. I racconti de L’anno del fuoco segreto, però, per la maggior parte sono privi di questa frizione, e rappresentano realtà nelle quali la componente soprannaturale è accettata, normalizzata, o appare semplicemente come strumento retorico. Infatti troviamo molti racconti dai toni chiaramente fiabeschi o addirittura allegorici (quelli di Mirabelli, Matteoni, Di Grado, Cassini) o, in secondo luogo, narrazioni che pur accogliendo al proprio interno l’apparizione improvvisa di elementi bizzarri, ne rappresentano l’accettazione senza alcun conflitto, sulla scia del realismo magico (Valentini, Fronteddu, Ceccanti). Altri racconti, infine, non rappresentano alcun elemento sovrannaturale vero e proprio (quello di Rialti, e poi quelli di Ricci, Merlini e Funetta).
Anche se la prefazione illustra un proposito abbastanza generico – dare spazio a testi che sviluppino in modo nuovo un certo immaginario senza ricorrere alle gabbie delle etichette critiche – il fatto che riguardo all’Anno si parli di “fantastico” e di “weird” deve pur significare qualcosa. Il lettore si aspetterebbe testi che abbiano sempre qualcosa a che fare col soprannaturale, o quantomeno con il rapporto tra l’umano e ciò che è ritenuto possibile e impossibile (in un modo che differisca dall’approccio del semplice “realismo”). Nella selezione dei racconti ci deve pur essere stata una linea comune, quantomeno un’indicazione o una suggestione; e se non c’è stata, è lecito aspettarsi che la stessa proposta del volume voglia suggerirla.

Si potrebbe pensare che questa linea comune possa rifarsi al “fantastico”, inteso in senso generico e cioè come “immaginifico” o “fantasioso”. Eppure ci sono diversi racconti totalmente privi di elementi bizzarri, nei quali l’aspetto onirico o allucinato può essere ricondotto meramente allo stile.

Inoltre è da escludere il riferimento a “fantastico” come categoria letteraria: soltanto pochi racconti rappresentano le caratteristiche del racconto fantastico, sia inteso come testo dominato dalla todoroviana incertezza tra soprannaturale e naturale, sia come narrazione condotta tramite un modo letterario abbastanza codificato (come proposto ad esempio ne Il fantastico di Ceserani). Nel grosso dei racconti manca quello che Irène Bessière in Le récit fantastique chiama aspetto “tetico”, e cioè il fatto che il fantastico “enuncia la realtà di ciò che rappresenta”; queste storie concedono raramente credito al soprannaturale che mettono in scena, e perciò il fantastico stesso sembrerebbe comporre il Novo Sconcertante Italico solo in minima parte.

Si potrebbe pensare allora che la linea comune dei testi si possa ricondurre al weird. Weird e new weird sono stati citati più volte da quando è iniziata la campagna pubblicitaria per l’antologia, ma, pur non volendo considerare le leggerezze dei comunicati stampa, troviamo il weird citato sia nella prefazione sia nella presentazione del volume organizzata il 19 maggio al Salone del Libro di Torino, con un evento intitolato “Dove sta andando la letteratura weird?”.

Come già detto, la riflessione sulle nuove correnti italiane – compreso il Novo Sconcertante Italico – ha gettato una certa ambiguità sul significato di “weird”, e il lettore che si predisponga alla lettura dell’Anno del fuoco segreto potrebbe tranquillamente pensare che ciò che leggerà nell’antologia, con i diversissimi approcci dei vari racconti, sia narrativa weird. Per quanto possa essere difficile definire la weird fiction, mi permetto di affermare che questa non sia presente che in minima parte tra questi testi.
Il weird è una modalità della narrativa del soprannaturale, legata alla tradizione del fantastico e volta a un suo superamento. Gli studi principali (S.T. Joshi, Machin, Cisco) convergono sostanzialmente sulla cronologia – con uno sviluppo a cavallo tra XIX e XX secolo – sulla rappresentazione del soprannaturale e sul suo rapporto con la narrativa popolare. Nel weird ci sono fantasmi, alieni, mostri di vario tipo, e c’è un’umanità piccola e inerme, capace di comprendere solo una particella dell’oscura meraviglia che occupa l’universo. Sono storie che apparivano sui pulp magazines e sui corrispettivi europei (nel Regno Unito, in Francia, e contestualmente anche in Italia), in cui i protagonisti si confrontano con qualcosa di incredibile, con una narrazione abbastanza realistica da rendere in modo verosimile le reazioni umane davanti all’inesplicabile – con un proposito, quindi, “tetico”. E il fatto che in The Weird and the Eerie Mark Fisher abbia esteso il concetto di weird a media non letterari, accostandogli l’eerie, non fa che evidenziare ancora di più il legame della weird fiction con la cultura popolare.

Resta che il weird è differente dal fantastico, sia per alcuni strumenti formali adottati, sia per la rivoluzione nell’immaginario di riferimento, che come detto tenta di superare quello ottocentesco (tanto che, secondo Joshi, il weird è alla base di fantasy e sci-fi). Nell’Anno i testi che facciano irrompere il soprannaturale in un contesto realistico, e che al contempo non si appoggino soltanto al fantastico tradizionale, mi sembra siano soltanto Deserto Verde di Pugno e Barbablù_1 di D’Isa. La storia di Pugno, focalizzata sul tema ecologico e su una speculazione socio-politica, porta a un finale nel quale il mondo stesso trasfigura e sembra dover assorbire la protagonista in una comunione con la natura. Tutti gli eventi precedenti sono descritti con gran precisione, spesso indugiando su paragrafi storici che descrivono la storia delle nazioni rivoluzionarie al centro della vicenda. È questo impianto realistico a permettere una vera intrusione del soprannaturale, per quanto circoscritta agli ultimissimi passaggi del testo – intrusione delineata non secondo i dettami del fantastico ottocentesco ma maggiormente verso il weird o il fantascientifico, e cioè con un’allusione ad una realtà altra non del tutto compresa (o comprensibile), “nell’assoluta potenza di quelle luminosità, aliene” (p. 124). Il racconto di D’Isa invece riscrive la fiaba di Barbablù in chiave contemporanea, non limitandosi a una semplice attualizzazione della vicenda: la protagonista ha infranto un tabù imposto dal compagno, avviando un processo di corruzione del reale e del rapporto, evocando “qualcosa che si frappone nel passaggio tra Alessandro e Rosa e rende la lettura impossibile” (p. 248) e mettendo in dubbio la sua stessa esperienza del reale: questo stravolgimento si manifesta letteralmente in una serie di caratteri grafici che invadono la scrittura fino a rendere il testo illeggibile. Il soprannaturale si manifesta in senso formale, spezzando lo stesso medium del linguaggio e concretizzando il senso di incomunicabilità e il crollo degli strumenti conoscitivi.

Se il weird presuppone la rottura delle nostre regole, la situazione diventa diversa per mondi fondati su regole diverse, come quelli tipici del fantasy e del new weird.

Il new weird” appariva inizialmente legato a L’anno del fuoco segreto, che come già detto era stato additato quale “prima antologia new weird italiana”. Il termine “new weird” non solo è totalmente assente nel volume e nella prefazione, ma la sua influenza è stata ulteriormente allontanata da Valentini nella già citata intervista su Il Tascabile, riprendendo un’affermazione di Santoni e differenziando il new weird anglosassone dalla corrente immaginifica europea contemporanea (alla quale, mi sembra, si riconduce implicitamente lo stesso Anno del fuoco segreto). Ma anche se un rapporto diretto è stato sostanzialmente rinnegato, la categoria potrebbe essere comunque rilevante per la comprensione di questa antologia.
Il new weird mantiene certamente dei contatti con il weird  – non fosse per le molteplici influenze dell’immaginario lovecraftiano – ma è qualcosa di molto diverso, che i coniugi VanderMeer definiscono così nell’introduzione alla loro seminale antologia:

New Weird is a type of urban, secondary-world fiction that subverts the romanticized ideas about place found in traditional fantasy, largely by choosing realistic, complex real-world models as the jumping off point for creation of settings that may combine elements of both science fiction and fantasy.

Considerando i testi normalmente ascritti al new weird (ad esempio i romanzi dello stesso Jeff VanderMeer e quelli di China Miéville), si capisce come questa definizione parta proprio dal concetto di setting: il new weird combina sci-fi e fantasy, propone mondi bizzarri, a volte totalmente slegati dal nostro, caratterizzati da leggi fisiche bizzarre e aliene. L’atteggiamento verso queste leggi è realistico, nel senso che esse vengono trattate come “vere” in quel contesto narrativo, e ne consegue una verosimiglianza circostanziale, legata a quella precisa realtà e diversa dalla semplice leggerezza del soprannaturale fiabesco.

Se il new weird è il racconto di mondi dalle regole bizzarre ma non incomprensibili, in L’anno del fuoco segreto i racconti di Kulesko e Magini sembrano poter rientrare in questa categoria. Gli impuri di Kulesko offre la rappresentazione di un mondo affine al nostro ma caratterizzato dall’esistenza della magia: la narrazione segue un investigatore alla ricerca di un pericoloso criminale attraverso ambienti urbani sudici e degradati, e si alterna a diversi inserti saggistici, interviste e approfondimenti che centrano il focus del racconto sul world building. In Il sacrario degli specchi infranti Magini troviamo invece un mondo devastato da un’apocalisse bizzarra, basata sulla rottura di una parte della logica (“si è rotto qualcosa a livello matematico”, p. 178) che ha alterato gli equilibri della realtà e condotto al collasso della società. Da questo tracollo sono sorte nuove civiltà, e al centro della vicenda troviamo proprio una comunità nuova, fondata sulla solidarietà, sul rispetto dei ritmi naturali e soprattutto sulla capacità di superare il passato. Questi racconti presentano delle realtà diverse, con qualche legame con la nostra, ma dominate da fenomeni sovrannaturali – come la magia o la rottura delle leggi logiche del mondo – cui i personaggi si rapportano in modo verosimile.
Fantastico, weird e new weird hanno dunque una presenza molto limitata in L’anno del fuoco segreto. Certo non è sufficiente a inquadrare l’antologia in una di queste tre categorie – per quanto le si voglia rendere più o meno elastiche – e si ha più l’impressione di testi sfuggiti, inciampati in un contenitore (come, d’altra parte, è tipico delle antologie) oppure attirati da un polo magnetico plurimo e multiforme, appunto il Novo Sconcertante Italico.

Ma qual è dunque la precisa natura di questo polo? Nonostante i curatori vogliano rifuggire dalle categorizzazioni – “generi e definizioni sono utili per gli scaffali delle librerie, ma non per l’esperienza di chi legge e scrive” (p. 11 della prefazione) – resta che questa è l’antologia dell’autoproclamato Novo Sconcertante Italico, e penso che si debba comunque giungere a una conclusione, a una delimitazione dello spettro, pur cangiante, di questo flusso narrativo. E lo spettro che si aggira per questa antologia è indeciso tra fantastico e non fantastico, con una netta predilezione per la fiaba e per il soprannaturale simbolico, leggero, interpretabile.
Naturalmente non pretendo di affermare che la qualità dei singoli racconti possa essere pregiudicata dal rapporto con il soprannaturale. Anzi, molti testi sono di qualità, e tra i racconti più efficaci figura proprio quello di Rialti, Iniziativa di ordine superiore. Il testo costruisce un parallelo tra le violenze di una banda di assassini, affetti da qualche turba psicologica, e le cerimonie sacrificali in una società precolombiana, sovrapponendo l’istinto vitalistico dei killer e quello della vittima rituale come se fossero entrambe espressioni di un medesimo afflato divino. Non c’è alcun elemento soprannaturale che intervenga materialmente nella narrazione – a parte l’apparizione di un nonno defunto, che è più facile ascrivere allo stato alterato del personaggio che a una manifestazione fantasmatica – ma nonostante ciò il testo riesce a essere profondamente disturbante pur senza accordare alcun credito al soprannaturale stesso.
Al di là dei singoli testi, quello che suscita perplessità è dunque la riuscita complessiva della proposta. La polemica sui social non ha certo giovato alla benevolenza verso l’operazione editoriale, ma anche sforzandosi di considerare il libro e il libro soltanto, restano molti dubbi. Se il Novo Sconcertante Italico non ha una precisa identità, se comprende approcci diversissimi all’immaginario, e se la maggior parte dei suoi testi sono vicini al soprannaturale italiano “colto” del Novecento, allora qual è il suo senso? In quale aspetto risiede la sua novità e la sua sperimentazione?

La risposta è di difficile formulazione. Volendo applicare un criterio quantitativo – forse superficiale ma, direi, efficace nell’analisi di una raccolta che intende “additare le strade di una possibile fase nuova dell’orizzonte immaginativo condiviso” (p. 11) – si può dire che la maggioranza di queste strade non prende affatto sul serio l’immaginazione. Davvero poche storie si “sporcano le mani” dando un minimo di credito alla materia che sembrerebbe essere alla base dell’operazione. Il weird e il new weird, così spesso evocati intorno a questa antologia, appaiono solo sporadicamente, e non fanno che evidenziare ancora di più la leggerezza e il distacco propri del resto dei racconti.

Il caso più esplicativo in questo senso è Tongofrip di Ricci, nel quale un antropologo sulle tracce della misteriosa creatura Tongofrip, odiata e uccisa ciclicamente dalla popolazione di un paesino sperduto, intuisce che il mostro non è altri che l’intruso che visita il villaggio, e cioè il protagonista stesso. Ma quando il personaggio sta per essere sacrificato, come nel più classico gotico rurale, ecco che si scopre che è tutta una montatura, un parco a tema che ha come obiettivo far vivere esperienze singolari ai suoi clienti – cosa che peraltro lo stesso protagonista sapeva sin dall’inizio. La linea comune ai testi è dunque un immaginario sì bizzarro, ma depotenziato, preso con ironia, una narrativa “che non deleghi mai la meraviglia alla trama ma sempre e anzitutto al bagliore dello stile” (p. 11 della prefazione) e che quindi può raccontare di animali parlanti, alieni e morti viventi senza il rischio di essere identificata come horror, fantasy o sci-fi.

Non è una questione di reazione al conservatorismo, un tentativo di ridare nuova vita a un’ormai inaridita narrativa di genere; anzi, è il suo esatto contrario. La cosa più rimarchevole infatti è che l’approccio dell’Anno del fuoco segreto non è né “novo” né “new; è semplicemente quello che è già successo per tutto il Novecento nella letteratura italiana alta, impegnata, quella del soprannaturale ironico, del fantastico calviniano e continiano – una continuità, come già notato, basata sull’assenza di una “contaminazione tra forme espressive che non sia, in definitiva, letteraria e parzialmente anestetizzata” (Malvestio).

L’anno del fuoco segreto appare, allora, come un’occasione in buona parte mancata. L’occasione di sperimentare davvero, di ricombinare i generi, di dare una possibilità autentica al soprannaturale, di mettere in scena autentico weird e autentico new weird o una loro ricombinazione, di fare vedere dove un’immaginazione consapevole e insieme scatenata possa arrivare quando osa. Non tra le sicurezze del gioco letterario e della storia simbolica, ma su altri pianeti, in altri mondi, in stati dell’essere dove è bello – e forse ormai doveroso – speculare, dove lo stile non basta e dove le idee devono aprire crepacci. Una capacità che forse è nuova (o forse no), ma che di certo va incoraggiata tra gli italici e che può giungere a risultati concretamente, materialmente e sorprendentemente sconcertanti.


L’anno del fuoco segreto. Il novo sconcertante italico, a cura di E. Rialti, D. Valentini, Bompiani, Milano 2023, 272 pp. 25,00€