Prosegue la presentazione dei libri finalisti del Premio Narrativa Bergamo 2024. Gli incontri con gli autori si tengono alla Biblioteca Tiraboschi di Bergamo per cinque giovedì di fila alle ore 18. Dopo Marco Rossari e Tiziano Scarpa, tocca domani a Franco Stelzer
Nell’aprile del 2023 hopefulmonster editore ha dato alle stampe Stiratore di luce di Franco Stelzer. L’opera è uscita nella collana di tascabili Pennisole, curata da Dario Voltolini (sua la postfazione di tutti i volumi) e composta da brevi narrazioni di autori già noti, che qui si provano in testi eccentrici rispetto alla loro produzione usuale, dedicando una grande attenzione alla lingua.
Lingua che, come vedremo, in Stiratore di luce plasma la realtà di Bodo, il protagonista. Del quale, forse non per caso, non viene fornito alcun dettaglio fisico né anagrafico: se lo possiamo immaginare come un giovane adulto è solo perché gli estranei che lo interpellano adoperano il lei.
Bodo vive con la madre nei pressi del Lorettoberg, che, a fare una piccola ricerca, scopriamo essere una zona collinare nella città tedesca di Friburgo. Ma che, presentato come mero nome senza ulteriori specificazioni, proietta la vicenda nelle regioni del sogno o delle fiabe.
Bodo e la madre lavorano in una bottega dove, oltre a lavare e stirare, hanno messo in vendita alcuni oggetti domestici che non utilizzano più. Gli angusti confini dell’universo di Bodo corrispondono così a casa e negozio. La madre è il solo tramite per cui Bodo può presentire il resto del mondo. La sua emotività è tenuta a bada dai farmaci, e per uniche avventure gli sono concesse le passeggiate sul Lorettoberg.
La vita di Bodo scorre tuttavia serena: nella sua quotidianità, sia pure umile e ripetitiva, ruoli e mansioni sono ben definiti e perciò confortanti, come leggiamo nelle battute iniziali: «Con Mamma, Bodo si sente al sicuro. È la sua guida infallibile. Lo orienta nel lavoro. Lo istruisce e lo educa continuamente. Lo rende uno stiratore serio e affidabile» (11).
Bastano queste poche righe per scoprire come in Stiratore di luce la lingua è mimetica della prospettiva di Bodo: il vocabolario è semplice, la sintassi procede per brevi frasi, in cui la reiterazione delle formule (“Lo orienta”, “Lo istruisce”, “Lo rende”) può far intravvedere sia un estremo bisogno di chiarezza che una certa ossessività. La lingua, cioè, esprime la maniera elementare con cui la “delicata demenza” di Bodo (come è scritto con indovinata formula nella quarta di copertina) fa propria la realtà.
Succede così quando la sua attenzione viene catturata da una donna dai riccioli neri, che sovente si ferma a osservare la vetrina della bottega.
A Bodo piace come guarda. Non ride, non si prende gioco di quella esposizione. Guarda, semplicemente. Le interessano le cose esposte. E Bodo pensa che non si stupirebbe se, un giorno, quella sconosciuta entrasse per chiedere di qualche prezzo.
È dolce, ma anche forte. Un po’ come Mamma. Solo più bella. Bodo pensa sia una persona di cui ci si può fidare (17).
E quel giorno arriva, ed è lo stesso Bodo a favorirlo, grazie anche al fatto che sua madre è «andata a pagare le bollette» (25). La donna dunque entra e si interessa a un tavolino, che successivamente tornerà ad acquistare, e toccherà proprio a Bodo portare l’oggetto a casa della signora, che abita nei pressi della bottega. Bodo, una volta depositato il tavolino, esce di casa della signora con la stessa euforia che prova le mattine in cui dimentica di assumere i farmaci, quando sente «salire dal basso come una specie di musica, un rombo armonioso che cresce, cresce sempre di più… E se qualcosa non interrompe questo montare di fuoco e di energia, poi arriva una specie di esplosione, un boato che lo scuote e lo lascia prostrato e intontito» (23).
Sono evidentemente, queste, fughe entusiasmanti e spaventose dall’ordine di una vita chiusa in pochi spazi, poche azioni, che poche frasi sono sufficienti a descrivere. L’assenza di medicinali, insomma, proietta Bodo in un universo inconoscibile e dunque innominabile, proprio come il sentimento – per lui nuovo – che inizia a provare per la signora dai riccioli neri.
E così, sempre più spesso, Bodo dimentica di prendere le medicine, o rifiuta deliberatamente di farlo. E sente sempre più intensamente che il mondo adulto, del tutto estraneo alla sua esperienza, lo attrae, ma non sa con quale postura, con quale vocabolario frequentarlo.
Fino a quando, una sera in cui non riesce a prendere sonno, Bodo esce di casa, raggiunge il centro cittadino, crede di aver individuato la donna e prosegue verso di lei, noncurante del traffico, arrivando a sfiorare la catastrofe. È proprio per descrivere questo episodio che, non a caso, la sintassi si amplia e sfilaccia, a testimonianza dell’approdo del protagonista a una realtà mai sperimentata, per la quale mancano davvero le parole, e che percepisce allo stesso tempo come intima e universale:
In quel preciso momento, Bodo ha l’impressione che il proprio io arrivi a coincidere con quello di tutti i viventi, che il centro del proprio corpo sia anche il centro del mondo, e che la meraviglia di ogni cosa si concentri, si coaguli in un’unica immagine lussureggiante, a lui esterna, ma insieme parte essenziale di lui stesso, della sua stessa vita (52).
Qui termina la prima e più lunga delle due parti che compongono Stiratore di luce. Nella seconda, la donna comunica a Bodo che lei e la sua famiglia presto ritorneranno nella piccola città francese da dove provengono, Belfort, a pochi chilometri dal confine con la Germania. E Bodo decide in gran segreto di andarla a trovare. Una volta scoperto che Belfort dista un’ottantina di chilometri, Bodo si mette in cammino, con il solo desiderio di rincontrare la signora dai riccioli neri. Finché non verrà «travolto dai suoi stessi pensieri, stremato di immagini e emozioni» (76).
Stiratore di luce è, in fondo, un omaggio al desiderio, per sua natura incoercibile, insofferente a ogni regola. E se la figura di Bodo suscita una certa misericordia nel lettore, rimane da stabilire se questa provenga dalla felice invenzione di un personaggio adulto ma dalla gestione emotiva infantile, o da una sorta di ammirazione in punta di invidia per chi è ancora capace di perseguire un obiettivo senza curarsi di niente: né della sua concreta raggiungibilità, né delle conseguenze – sociali, sì, ma pure fisiche – a cui si va incontro dedicandovisi senza risparmio.
Allora la lingua e la sintassi dell’opera, nella loro disarmata semplicità, indicano sì la prospettiva ingenua da cui Bodo vede il mondo, ma allo stesso tempo lasciano a chi si confronta con Stiratore di luce un dubbio di non poco conto: qual è il modo perverso di mettersi in relazione? Quello di chi espone un linguaggio senza ripari, o quello di chi affila gli strumenti della comunicazione per rapportarsi agli altri in modo utilitaristico?
Franco Stelzer, Stiratore di luce, hopefulmonster, Torino 2023, 88 pp. 12,00€