L’architetto e l’oracolo sono due figure che rappresentano due modi diversi di organizzare e produrre il sapere nell’era digitale. L’architetto si riferisce al modello tradizionale delle enciclopedie, che si basano su una classificazione sistematica e gerarchica delle conoscenze. L’oracolo si riferisce invece ai nuovi sistemi di intelligenza artificiale generativa, come ChatGPT, che sono in grado di creare testi e immagini in risposta a una richiesta dell’utente, basandosi su modelli statistici e probabilistici.
Il senso della dicotomia che dà il titolo all’ultimo libro di Gino Roncaglia, L’architetto e l’oracolo. Forme digitali del sapere da Wikipedia a ChatGPT, uscito per Laterza nel 2023, si potrebbe racchiudere in queste poche righe introduttive. Da un lato, il grande modello enciclopedico, figlio di una storia millenaria e che oggi ha in Wikipedia il suo emblema, basato su un sapere strutturato e ontologie solide; dall’altro, invece, modelli nuovi che non intendono organizzare o sistematizzare il dominio della conoscenza, ma ne producono di nuova in forme non prevedibili. Se le righe sopra riportate sono particolarmente significative non è solo perché racchiudono il nucleo del libro, ma anche per via di chi le ha scritte: esse sono infatti state generate da uno dei protagonisti del volume, dall’intelligenza artificiale, nello specifico da ChatGPT4, in risposta alla domanda “Che cos’è l’architetto e l’oracolo?”. Al lettore potrebbe venire ora il legittimo dubbio che anche quanto segue sia stato scritto dall’intelligenza artificiale, ma possiamo subito tranquillizzarlo: ChatGPT sostiene di non poter scrivere la recensione al mio posto, poiché, essendo un sistema di intelligenza artificiale, non può aver un’opinione sul libro.
Gino Roncaglia è riconosciuto come uno dei massimi esperti di cultura digitale in Italia e il suo lavoro è molto apprezzato per il taglio divulgativo che riesce a dare ai testi, anche laddove trattino argomenti complessi. Per questo, come nel caso dei libri precedenti, L’architetto e l’oracolo non è destinato a un pubblico di soli specialisti, ma è piuttosto mirato a cercare di chiarire alcune dinamiche riguardanti le nuove tecnologie di cui spesso si discute nel dibattito pubblico, senza che si abbia davvero contezza dell’argomento. Che questo libro faccia parte di un “percorso” più ampio nel lavoro intellettuale e divulgativo di Roncaglia è del resto fin da subito evidente, poiché il testo si presenta come ideale continuazione del precedente L’età della frammentazione. Cultura del libro e scuola digitale del 2018 (poi ripubblicato in edizione aggiornata nel 2020, sempre da Laterza). Anche in quel caso, al cuore dell’opera era una dicotomia: da un lato la frammentazione, dall’altro la complessità. Anche se nell’odierno ecosistema digitale domina la prima, caratterizzata dalla brevità e dalla granularità, la convinzione di Roncaglia è che non vi sia un rapporto deterministico fra la Rete e la frammentazione delle informazioni che vi circolano. Inoltre, secondo l’autore, numerosi indizi starebbero puntando a una nuova esigenza e spinta verso la complessità. Il punto è di per sé questionabile e probabilmente troppo ottimistico (mi sembra poco convincente l’esempio dell’allungamento dei video di TikTok, che è un tentativo di intercettare pubblico più che una ricerca della complessità), ma Roncaglia ha di certo ragione nell’osservare come anche online siano presenti contenuti strutturati di grande complessità. Il presente volume è dunque un tentativo di esplorare le strade della complessità digitale nella convinzione che «una crescita nella produzione di contenuti complessi non accompagnata da adeguate competenze di comprensione e valutazione può risultare addirittura pericolosa» (p. 13).
Veniamo subito a quello che può essere il principale problema del libro. Il testo è diviso in quattro sezioni: i primi due capitoli sono tesi a indagare, storicamente e nel presente, le due forme di organizzazione del sapere rappresentate dall’architetto e dall’oracolo; il terzo tratta delle memorie personali e della loro esternalizzazione digitale; infine, il quarto e ultimo capitolo dà uno sguardo al futuro attraverso le lenti peculiari di opere di fantascienza in cui compaiono biblioteche e bibliotecari. Si ha però la percezione di un lavoro non del tutto omogeneo: questo è probabilmente dovuto anche all’origine spuria di alcune sezioni del libro, già presentate altrove e ora rielaborate per essere qui inserite. In particolare, la terza e la quarta parte, di per sé interessanti, sembrano dissipare quella che è la forza dell’opposizione centrale che sostiene il libro, dando in certi momenti l’impressione di un testo non del tutto centrato. È infatti nelle prime due sezioni che risiede il principale interesse del volume.
La prima parte ha il grande merito di non limitare la discussione al presente o al futuro, ma di situare la questione delle forme di sapere digitali in una prospettiva storica. Così facendo, il testo copre un vuoto per quello che riguarda una narrazione orientata nella storia dell’enciclopedismo digitale. Questa narrazione prende le mosse da un saggio degli anni Trenta di H. G. Wells, in cui l’autore immaginava la creazione di un’enciclopedia mondiale liberamente accessibile a tutti grazie all’ausilio di alcune innovazioni tecnologiche. Fin da qui, grazie a Wells, Roncaglia può chiarire come la questione delle enciclopedie digitali sia certamente un fatto tecnico, ma sia soprattutto una vicenda sociale e politica; già per Wells, infatti, l’enciclopedia mondiale avrebbe dovuto essere uno «strumento insieme conoscitivo e politico» (p. 15), un mezzo «per la risoluzione di conflitti e la collaborazione universale» (p. 14). Senza ricostruire la ben più antica storia del sapere enciclopedico, Roncaglia si interessa, attraverso alcuni esempi e snodi salienti, alle enciclopedie digitali che nascono, al di là di qualche precedente avvisaglia, a partire dagli anni Ottanta del Novecento. Sono forse due le caratteristiche peculiari dell’enciclopedismo digitale che permettono di soppiantare il precedente modello cartaceo: le possibilità multimediali e il prezzo vantaggioso. Alfiere di questo mutamento è forse l’Enciclopedia Encarta, prodotta da Microsoft, nella quale Roncaglia riconosce l’artefice della sostituzione dei modelli cartacei precedenti. Ma in questo modello evolutivo, anche Encarta ha poi dovuto lasciare il passo a Wikipedia, grazie alla quale cambia per la prima volta il regime d’autorevolezza: mentre tradizionalmente è l’autore o la redazione che «garantisce l’autorevolezza e la validazione dei contenuti», con Wikipedia si passa a un modello in cui «l’autorità e la validazione dei contenuti sono il risultato di un processo di scrittura e revisione collaborativo» (p. 45). Per questo motivo, più persone collaborano, più è probabile che la voce sia affidabile. Dato il cambio di paradigma, non stupisce che l’autore si soffermi a lungo su Wikipedia, discutendone i pilastri fondamentali e i principali problemi, fra cui le prevedibili tensioni che ruotano intorno all’ideale regolativo ma utopico dell’oggettività e neutralità del sapere.
Non ci è dato sapere quale futuro attenda Wikipedia, oggi che si affaccia «sulla scena un personaggio che lavora con metodi assai diversi rispetto a quelli dell’architetto: l’oracolo» (p. 66). Nella spiegazione di queste forme oracolari, a cui è dedicata la seconda parte del libro, Roncaglia dà probabilmente il suo meglio, unendo un approccio rigoroso a un linguaggio accessibile e divulgativo. La convinzione di fondo è il riconoscimento dell’importanza di comprendere i meccanismi di queste intelligenze artificiali generative, diventate ormai strumento d’uso quasi quotidiano ma delle quali spesso si ignora il funzionamento. A differenza del modello architettonico, che mira a classificare e sistematizzare il sapere, le intelligenze artificiali generative mirano a «produrre contenuti in genere in risposta a un “prompt” (o richiesta) da parte dell’utente» (p. 88).
Al di là degli aspetti più tecnici, ben descritti da Roncaglia ma che sarebbe qui impossibile riassumere, ciò che forse è significativo osservare è il senso della metafora dell’oracolo. L’autore, infatti, sottolinea come queste IA non funzionino al modo delle enciclopedie o dei motori di ricerca, dove l’informazione va semplicemente cercata, ma nemmeno come dei pappagalli stocastici, altra metafora che spesso viene usata per descriverle. Il pappagallo, infatti, non farebbe altro che copiare meccanicamente e un po’ a casaccio delle informazioni, mentre Roncaglia nota come le intelligenze artificiali generative siano piuttosto simili a «complessi oracoli probabilistici», che rispondono all’utente attraverso «previsioni statistico-probabilistiche basate su grandi modelli linguistici e su un lungo addestramento» (p. 97). Sono quindi sì allenate su un ampio corpus di testi, ma non traggono le informazioni direttamente da questo. È perciò importante che l’utente tenga ben presente il rischio di quegli errori marchiani chiamati “allucinazioni“, che sarebbero però secondo l’autore dovuti alle contingenze e destinati a diminuire sempre di più col perfezionarsi dei modelli di IA. L’altro rischio riguarda invece i pregiudizi di cui le IA possono essere portatrici inconsapevoli, un campo molto vasto e radicalmente interdisciplinare a cui l’autore può solo fare cenno.
Al termine di questa seconda parte Roncaglia propone nove tesi, già precedentemente elaborate e qui riportate, sui modi in cui l’IA potrà avere ricadute sul mondo del libro e dell’editoria. Una tesi che mi sembra interessante è la sesta, riguardante i rapporti fra IA e traduzione. Secondo l’autore, «le IA generative saranno presto in grado di tradurre contenuti fra lingue diverse con una competenza non inferiore a quella di un discreto traduttore umano» (p. 116), o, verosimilmente, sono già in grado di farlo. Soprattutto nel campo degli articoli scientifici, questo fatto potrebbe realmente avvicinare il mondo della conoscenza a quella enciclopedia globale che aveva in mente Wells, attraverso forme di internazionalizzazione che non si realizzerebbero più, come accade oggi, attraverso il monopolio linguistico dell’inglese, che fornisce un considerevole vantaggio competitivo al mondo anglofono e agisce sul resto del mondo accademico secondo una sorta di implicito ricatto: o lo/a studioso/a (ma anche il/la giornalista, l’opinionista ecc.) scrive in inglese, o sarà condannato/a alla marginalizzazione. D’altra parte, se da un lato l’IA potrebbe consentire un «maggiore accesso a culture diverse [e] fonti informative più differenziate» (p. 116), Roncaglia è anche conscio dei potenziali problemi verso i quali andrebbe incontro il mestiere del traduttore. Questo esempio è allora forse paradigmatico, perché mostra come tutte le tecnologie, in particolare le tecnologie che agiscono nell’ambito della conoscenza, comportino vantaggi e svantaggi. È forse addirittura banale ricordarlo, ma è un altro monito, se ce ne fosse bisogno, sulla non neutralità della tecnica, che va governata a livello politico e non lasciata all’arbitrio del singolo.
Prima di concludere, vorrei segnalare due peculiarità stilistico-formali, se si può dire così, del libro. Innanzitutto, la copertina stessa è prodotta dall’interazione fra un essere umano, cioè l’autore, e un programma di IA generativa, Midjourney. Una dimostrazione, anche in campo grafico, della tesi di Roncaglia secondo cui le IA generative «possono produrre contenuti altamente originali» (p. 113). Inoltre, Roncaglia ha disseminato nel testo una serie di QR code che il lettore può scansionare per accedere a contenuti aggiuntivi multimediali (o multicodicali); quello dei libri “aumentati” è un vecchio pallino dell’autore, uno strumento per rendere più ampia e allargata l’esperienza di lettura. In occasione di una tavola rotonda all’Università di Milano dello scorso anno, Roncaglia sosteneva che lo smartphone sia una risorsa per approfondire ciò che si legge su carta. Così, anche la scelta di inserire questi QR code è veicolo di una convinzione più profonda: attraverso il tentativo di mostrare il potenziale ancora non del tutto espresso della multicodicalità in campo editoriale, Roncaglia suggerisce che i libri e il digitale non si presentano come mondi opposti, ma possono interagire in maniera efficace per ampliare il panorama della conoscenza.
Come i precedenti libri dell’autore, L’architetto e l’oracolo è un testo di rilievo nel panorama italiano. Il suo pregio più grande sta probabilmente nella geniale e produttiva metafora attorno alla quale è costruito e che permette di indagare il passato e il presente del mondo del sapere, con un occhio sempre orientato verso il futuro; un futuro che né un architetto né un oracolo statistico-probabilistico sono in grado di predire.
G. Roncaglia, L’architetto e l’oracolo. Forme digitali del sapere da Wikipedia a ChatGPT, Roma-Bari, Laterza, 2023, 256 pp., € 19.