«Io sono una pietra. Lo ripeto: una pietra. So che non potete capirmi; dovrei spiegarvi queste quattro parole una per una e a gruppi di due e di tre e poi tutte insieme: cosa voglio dire quando dico io, e quando dico essere, e pietra, e cosa vuol dire essere pietra, e una, una pietra». Sono le parole di Italo Calvino tratte da un brevissimo testo del 1981, scritto per il pittore Alberto Magnelli. Di qualche anno dopo è Tu sei Pietra di Giorgio Manganelli: «Abbiamo come sempre un problema, come interrogare e capire la pietra che ci sta attorno e che ci sta dentro». Nel Porto di Toledo, scritto da Anna Maria Ortese una decina d’anni prima, si legge: «Alla mia finestra guardo – le nuvole volare e mi rendo conto – di essere una pietra. Sono – di latte le nuvole che passano sulla luna nera, mi dispero – io pensando di essere una pietra. Non era – una volta così». Alfred Irving Hallowell, uno dei maggiori antropologi del Ventesimo secolo, nel 1930 lavora con il popolo anishinaabe – cacciatori di pellicce originari del Canada centro-settentrionale – e stringe amicizia con il loro capo, William Berens. Parlano di animali, piante e in particolare pietre animate; Hallowell gli chiede se tutte le pietre attorno a loro siano vive e dopo una lunga riflessione Berens risponde: «No! Ma alcune lo sono».
Essere pietra. Ecologia di un mondo minerale, l’ultimo saggio di Federico Luisetti (wetlands 2023), parte da alcuni dei testi sopracitati (Calvino e Manganelli), per intrecciarli subito a riflessioni provenienti dagli ambiti della filosofia, della storia, della geologia e dell’antropologia (per fare alcuni nomi un po’ alla rinfusa: Deleuze, Guattari, De Martino, Haraway, Ingold, Latour, Escobar, Chakrabarty, Crutzen, Spinoza, Rancière, Esposito). Tuttavia, prima ancora di proporre la messa in discussione o meglio la ridefinizione di certi concetti (in primis quello di persona), Luisetti racconta di essere cresciuto nelle Alpi piemontesi, «in un profondo nord italiano fatto di fabbriche tessili ed egoismo industriale. Quasi nulla, dell’immensa ricchezza sottratta nei secoli alle montagne e alle acque dei torrenti per produrre energia e smaltire i prodotti chimici delle lavorazioni dei tessuti, è stato restituito all’ambiente, che resta malato e inquinato. Forse per questa ragione le pietre mi hanno sempre affascinato più della società degli uomini» (p. 15). Essere pietra propone, già dalle prime righe dell’introduzione, una sorta di esercizio in cui i nostri abituali – e apparentemente inscalfibili – punti fermi sono sollecitati a uno spostamento. Il primo di questi punti è la nostra prospettiva, quella dell’homo oeconomicus occidentale; basta infatti fare un piccolo passo indietro per vedere immediatamente che dalla “visuale” dell’universo non biologico, «l’immensa varietà degli esseri viventi appare in balìa di un animale predatorio, un primate disfunzionale incapace di convivere con se stesso e con il resto del pianeta». Ecco: da Sapiens sapiens a primate disfunzionale.
Le pietre di Calvino, quelle di Manganelli, di Ortese e del popolo anishinaabe sono soggetti? Cosa distingue un soggetto da una persona? Queste sono le domande che attraversano il saggio di Luisetti, il quale utilizza proprio la pietra – in particolare la sua alterità – per scalfire il cuore del pensiero occidentale. Dalla “crisi della presenza” di De Martino alla “curva di Keeling” che misura la concentrazione atmosferica di CO2, dimostrando l’origine antropica del riscaldamento globale, dall’“ipotesi Gaia” di Lovelock e Margulis al “pluriverso” di Escobar, Luisetti individua una “terza via” tra il paradigma neoliberale e quello multispecie. Si tratta di quella che lo studioso chiama «un’ecologia politica dei soggetti non viventi, corpi non umani irriducibili alle forme di individualità caratteristiche degli organismi biologici» (p. 29). Queste entità non-umane sono gli “esseri-terra”, termine che Luisetti prende in prestito dall’etnografa delle Ande peruviane Marisol de la Cadena. Un essere-terra è una montagna o una valle, un fiume o un ghiacciaio, ma anche le pietre sacre, i massi erratici e i sassi di fiume. «Ora che la crisi climatica sta riconfigurando l’esistenza su scala planetaria, possiamo per analogia riflettere sulle modalità emergenti di soggettività e indagare i confini dell’identità umana a partire dall’essere pietra» (p. 30): così riflette l’autore alla fine del primo capitolo. I cambiamenti climatici indotti dalle attività umane impattano le nostre coordinate, sia quelle che riguardano i confini con gli altri “soggetti”, sia quelle di comprensione storica, come spiega molto chiaramente Dipesh Chakrabarty: come franano le mura di separazione tra storia naturale e storia umana, così crollano le frontiere tra “entità”.
Luisetti presenta poi dei casi specifici dove la questione dei soggetti naturali è posta in primo piano, concentrandosi sui movimenti indigeni del Sud America e ipotizzando che siano state proprio le lotte contro le misure neoliberali a diffondere la consapevolezza che anche le pietre, i fiumi, i ghiacciai e le valli siano soggetti politici con capacità di agire, al pari delle piante, degli animali, degli uomini e delle multinazionali. Questo è un punto centrale: se, nella filosofia occidentale, la prerogativa del soggetto politico è possedere una sfera cognitiva (res cogitans versus res extensa), nell’approccio delle ontologie indigene valgono altri criteri. È così che gli esseri-terra possono entrare nel perimetro giuridico, come il fiume Whanganui, in Nuova Zelanda, a cui il parlamento nazionale ha conferito nel 2017 gli stessi doveri, diritti, poteri e responsabilità di una persona giuridica, sancendo così, per legge, la relazione non antropocentrica dei Maori con il loro fiume. Come sottolinea Luisetti, negli ultimi anni i movimenti civili che si battono per il riconoscimento della personalità giuridica dei soggetti non umani si sono moltiplicati, anche se a volte questo funzionamento appare paradossale. Pensiamo ad esempio al ghiacciaio francese Mer de Glace, descritto dalle udienze del Tribunale internazionale dei diritti della Natura come un essere vivente bisognoso di salvaguardia: è lo stesso Uomo a causarne la sparizione e al tempo stesso a proteggerlo!
Uno dei termini chiave del saggio, come dicevamo, è quello di “persona”: ne viene ricostruita l’origine all’interno del pensiero occidentale, quale esito di un processo di separazione e di dominio basato sul primato del possessore. Di fianco a questa idea, Luisetti ne mette in luce un’altra, proveniente da culture lontane dalla nostra, dove anche le montagne, le rocce e i laghi «dimostrano capacità di agire, rifiutando l’esclusione dalla dimensione sociale e politica» (p. 50). Si tratta della visione alternativa del concetto di persona proposta dall’ontological turn, ovvero il considerare persona qualsiasi essere / corpo / entità capace di occupare un punto di vista. Si pensi agli studi di Eduardo Viveiros de Castro – il quale compie una svolta epistemologica, rendendo il concetto di persona più vasto, sia logicamente che cronologicamente, di quello di umano – o a quelli di Tim Ingold sulle persone-altro-che-umane, o ancora a quelli di Philippe Descola sulla tribù degli Achuar (nella cui lingua esiste un termine, aents, che possiamo tradurre con persona, capace di includere tutti gli esseri con i quali l’anima può comunicare): tutti accomunati dalla necessità di mettere in discussione certi nodi del pensiero moderno alla luce di nuovi paradigmi teorici.
La seconda parte del saggio di Luisetti (i capitoli Terra incognita e Essere fiume) è accompagnata da alcune foto che rendono immediata la comprensione dei concetti esposti: vediamo una cartolina postale del 1905 dove è raffigurata la Pierre de Marmettes, un masso erratico di 1800 metri cubi che domina la valle del Rodano nelle Alpi Svizzere, dove è giunto 15.000 anni fa; o ancora la fotografia della videoinstallazione Tsunami Boulder Project dell’artista giapponese Motoyuki Shitamichi, il quale documenta l’esistenza di massi giganteschi strappati ai fondali oceanici durante violentissimi tsunami. Si tratta sempre di un “allenamento” a storie e tempi diversi da quelli umani, dalla prospettiva di esseri litici che sono esseri-terra e dunque soggetti; ancora, l’immagine di due pietre identiche, l’una modellata da un corso d’acqua e prelevata dal suo alveo, l’altra scolpita a partire da una roccia estratta nell’ipotetico luogo d’origine della prima. Quest’opera appartiene alla serie Essere fiume (1981) di Giuseppe Penone: l’artista imita il fiume, agendo sulla pietra in modo analogo al corso d’acqua. Così riflette Luisetti: «il fiume ha insegnato a Penone a fare la pietra, a mettere da parte la persona e superare la separazione tra soggetti umani e soggetti naturali. […] Essere fiume presuppone il crollo delle coordinate della persona occidentale e ripropone l’attività fondamentale dei primi esseri umani, ovvero l’uso di strumenti per modificare l’ambiente e i confini della soggettività» (p. 86).
Il saggio si conclude con un bellissimo epilogo, dove è ricordata una lettera di Spinoza all’amico Georg Hermann Schuller: qui il filosofo invita a immaginare una roccia che, dopo essere stata spinta, pensa di rotolare a causa della sua volontà, e di conseguenza si crede libera. Così fanno gli uomini, che confondono le cause con la volontà, e il dinamismo con la libertà. Almeno le pietre sono più sagge, perché non pensano e non si ingannano. Forse, l’unica consapevolezza che ci salva, o potrebbe farlo, è il non essere soli – al pari appunto delle pietre – e condividere con gli altri esseri-terra una dimensione cosmica. Leggiamo ancora dal breve testo di Calvino citato in apertura: «il mio essere pietra implica pure l’esser parte d’una pietra più grande da cui mi sono staccata, montagna o falesia o catena rocciosa o strato basaltico o mantello terrestre, cioè il partecipare della natura di tutto ciò che è pietra, appartenere alla pietra unica che continua a esistere pur nella frantumazione delle singole pietre».
Gli esseri-terra, come gli affetti per Spinoza, continuamente si scompongono e ricompongono: da loro impariamo ad abitare diversamente, allontanandoci (anche solo un pochino) dalla logica predatoria dell’anthropos.
Federico Luisetti, Essere pietra: Ecologia di un mondo minerale, Venezia, wetlands 2023, 16 €, 112 pp.