La ragazza unicorno di Giulia Sara Miori, romanzo edito per Marsilio che segue a tre anni di distanza la raccolta di racconti Neroconfetto (Racconti edizioni 2021), richiede fin dalle prime pagine al lettore di scendere a patti con il senso di realtà. Dettagli precisi come date, indirizzi delle abitazioni, nomi delle fermate della metro di Milano e quelli comuni e sciapi dei personaggi, come il cognome del protagonista, il signor Cattaneo, marcano per contrasto l’ingresso pressoché immediato del surreale, anticipato dalla nebbia che avvolge la città: il 27 gennaio 2022 il protagonista, indicato già in incipit come “il prigioniero”, riceve una mail firmata da Paolo Rinaldi, solerte impiegato del ministero degli Affari esteri, che gli intima di non lasciare il paese, anche se nulla potrebbe fare per impedirglielo, viste le indagini a suo carico per cui è stato momentaneamente rilasciato. Indagini di cui Cattaneo non sa nulla, così come non capisce da cosa o da chi sarebbe stato rilasciato.
Alle 18.41 dello stesso giorno, due scagnozzi che al protagonista risultano familiari, dall’accento straniero e dalla fisionomia antitetica – uno pelato dall’aria intellettuale, l’altro massiccio e peloso con i baffi tinti – lo prelevano per interrogarlo in nome di un’imputazione che non viene specificata se non per la sola informazione che l’arresto ha a che fare con l’ex moglie di Cattaneo.
Il riferimento a Il processo di Kafka è evidente, ma se Joseph K., all’inizio del ‘900, viene accusato di una colpa non commessa e scopre che la porta della Giustizia è preclusa agli uomini, costretti ad essere vittime di una Legge assurda contro cui non è possibile ribellarsi, il signor Cattaneo è invece un colpevole e la porta per la consapevolezza, a cui non riesce ad accedere, è ben rappresentata dall’immagine di copertina del libro.
I due poliziotti lo conducono in una prigione che, a dire loro, rispecchia l’indole di Cattaneo: un luogo completamente ridipinto di bianco e spoglio di mobili, se non per le due coperte, bianche anch’esse, stese sul pavimento della cella. Richiama lo «spazio vuoto, perfettamente bianco» che Cattaneo aveva scoperto con sollievo dietro alla cornice di un quadro appeso alla parete nella sua abitazione, in contrasto con il resto dell’intonaco annerito dalle sigarette Davidoff fumate dalla moglie, il giorno in cui lei aveva deciso di lasciarlo.
Nel corso degli interrogatori svolti durante le otto settimane di reclusione, scopriamo che c’è un’indagine e una colpa apparenti e sfilacciate da una trama onirica, relative alla scomparsa di Carmen, una ragazza frequentata dal protagonista, e una più profonda: è egli infatti un uomo vuoto, privo di qualunque desiderio per sé stesso o di amore per gli altri. Non ha amici, ha un fratello avvocato con cui ha un rapporto inconsistente e una moglie, Adele, che ha perso perché troppo indolente per provare a trattenerla. Dopo la separazione, l’unica altra donna con cui ha instaurato un rapporto, Carmen, è una sex worker, conosciuta in un locale chiamato Twist, per metà bar e per l’altra club privato per scambisti. È la «ragazza unicorno» del titolo, definizione con cui si designa chi si aggiunge a una coppia preesistente per ravvivarne la passione erotica. La incontrava a casa, bevevano insieme qualcosa senza parlare e poi andavano a letto. «Perché le donne non sono tutte così?» (p. 47), si chiedeva Cattaneo quando usciva dall’appartamento di lei.
Il vuoto del protagonista contagia anche le parole con cui risponde, balbettando, alle domande dei due rapitori. Con la moglie erano stati un tempo «molto legati», il suo lavoro «non gli dispiace», da giovane non era uno «molto concreto», con il fratello è «abbastanza» in buoni rapporti; espressioni che confessano un approccio superficiale verso sé stessi e ogni tipo di rapporto interpersonale.
L’incontro con Carmen, che avrebbe potuto essere un punto di svolta e di cambiamento, il terzo polo di un triangolo amoroso che sfocia in una via di fuga positiva, diviene invece specchio di un’esacerbazione del vuoto che in Cattaneo sembra esistenziale e che si concretizza prima di tutto nella negazione del femminile, grande estromesso del romanzo: Carmen è scomparsa e si teme che sia stata uccisa, la moglie Adele è una presenza fantasmatica che si muove e agisce alle spalle del protagonista; inoltre Cattaneo afferma di non vederla da anni e di non riuscire, anche sforzandosi, a ricordare il suo volto. Il femminile ritorna sulla scena solo in uno sbocco comico: lo scagnozzo calvo ha i modi effemminati e una voce particolarmente acuta, il mastino suo complice indossa per tutto il tempo dell’interrogatorio un paio di occhiali da sole da donna.
La negazione del femminile si ritrova anche in un racconto della raccolta Neroconfetto, “Notturno”, che presenta alcuni tratti classici del genere noir: un uomo uccide, in un incendio doloso camuffato da incidente, la moglie, descritta nei suoi ricordi come una femme fatale bella e infedele che ha tra le labbra sempre una sigaretta, sempre una Davidoff. Libero da ogni accusa, l’uomo cambia città e trova una nuova compagna, che lentamente, alla stregua de La donna che visse due volte, assume i caratteri e l’aspetto della defunta.
L’incapacità di accogliere l’alterità femminile, che è anche parte di sé, condanna sia il protagonista del racconto che quello del romanzo a una coazione alla colpa. Nella cella bianca, raffigurazione della propria coscienza, il prigioniero cerca risposte scavando nella memoria, le sfiora e subito le nega a sé stesso accusando la moglie di volerlo incastrare. Di cosa? Una donna è scomparsa, ma non è questo il punto. «Ma vorrei che le fosse chiaro che il punto non è sua moglie. Il punto è lei» (p. 24) lo redarguisce uno dei due scagnozzi. Dietro la verniciatura bianca si formano delle crepe, Cattaneo le vede e le dimentica. Fugge e la coscienza lo lascia andare. Fino al prossimo arresto. Perché il colpevole torna sempre sul luogo del delitto.
Giulia Sara Miori, La ragazza unicorno, Venezia, Marsilio 2024, pp. 128, 15 €.