A partire dalla morte nel gennaio 1924, Vladimir Lenin è progressivamente diventato il simbolo della rivoluzione, un simbolo capace di sopravvivere come rappresentazione del sistema di valori che ha guidato l’Unione Sovietica per mezzo secolo e di trascendere i confini spaziali e temporali che l’hanno caratterizzata. Gli esempi, anche italiani, della forza di questo simbolo non mancano: dal Buonanotte signor Lenin con il quale Tiziano Terzani salutò la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1992 al recentissimo podcast Kult (2023),che narra la storia del busto di Lenin nella città di Cavriago, in provincia di Reggio Emilia. Dal riconoscimento della forza di Lenin come simbolo parte anche Francesco Pala, professore di filosofia e storia e già direttore del Giornale critico di storia delle idee, per il suo romanzo L’ultimo viaggio di Lenin, vincitore del premio Neri Pozza nel 2023.

Il testo può definirsi un’ucronia sperimentale, nella quale l’autore si chiede cosa sarebbe successo se un gruppo di congiurati, resosi conto che Stalin aveva tradito gli ideali della rivoluzione, avesse deciso di rapire la salma di Lenin con lo scopo di dare vita a una nuova esperienza comunista, capace di costruire una società in cui ideologia e scienza fossero indissolubilmente unite al fine di creare una società perfetta. L’aspetto sperimentale risiede nel tentativo dell’autore di ricostruire una realtà sociale, quella sovietica tra anni Quaranta e Sessanta, il cui ricordo nella cultura contemporanea va progressivamente perdendosi. L’elemento centrale di tale realtà è il rapporto tra individui e partito, con le sue ideologie e strutture – un rapporto che caratterizzò sistematicamente la quotidianità di milioni di persone per mezzo secolo. L’autore, tramite un’approfondita ricerca storica e letteraria, tenta di fornire al lettore una prospettiva su come le vite dei molti protagonisti fossero influenzate, a vari livelli e con diversi giudizi di valore, dalla capillarità del partito.

Questa esperienza prospettica viene articolata nelle ampie biografie dei protagonisti. Il testo parte da un nucleo di personaggi relativamente scarno: inizialmente il protagonista sembra essere il sergente Dorotov, parte del corpo di sorveglianza della salma di Lenin durante lo stazionamento a Tjumen, città della Siberia occidentale destinata ad accogliere le spoglie del rivoluzionario per evitarne la cattura tedesca. Davanti al possibile arrivo in città della 4ª armata corazzata tedesca, i compagni di Dorotov abbandonano Tjumen, lasciandolo solo con il corpo di Lenin e il soldato semplice Antonov, fatto lobotomizzare dallo stesso Dorotov alcuni giorni prima poiché credeva di aver visto Lenin aprire gli occhi. Questa situazione permette al sergente di eseguire le prime fasi del piano, cioè trasportare il corpo di Lenin verso Sverdlovsk, in particolare verso la cosiddetta “casa di destinazione speciale” dove venne rinchiusa la famiglia Romanov prima di essere giustiziata. Durante il viaggio verso Sverdlovsk, Dorotov e Antonov incontrano diversi personaggi, alcuni casualmente – come Ol’ga Lavrentijevna Balakova, trovata poco prima della partenza – altri già coinvolti nel piano che stava svolgendo Dorotov – come l’architetto Vasilij Protassov. Progressivamente il numero di personaggi si espande fino ad arrivare ad Aleksandr Rudienko, alto grado dell’esercito sovietico e principale responsabile della congiura. Ogni nuovo personaggio, una volta introdotto, viene accompagnato da un’introduzione alla sua biografia. Questa tecnica in parte frustra la continuità della linea narrativa principale, dall’altro offre una panoramica sulle vite dei protagonisti, mostrando come tutte si fossero interfacciate con il partito e la sua ideologia. La relazione tra partito e individuo è quotidiana e assume tonalità ironiche, come quando il soldato semplice Antonov denuncia i movimenti della salma di Lenin e il maggiore Afanasij si vede costretto ad aprire un’istruttoria. Durante quest’ultima, il sergente scelto Voronstov inizia una digressione «dedicata al socialismo dalle origini fino a Karl Marx, fino a Lenin, fino a Stalin, fino ai piani quinquennali, fino allo scoppio della guerra. Una digressione che rimandò di circa tre ore il momento delle ipotesi possibili per una soluzione condivisa» (p. 19). Il rapporto quotidiano con partito e ideologia riguarda strettamente anche i congiurati e i loro scopi e, nonostante l’ironia che spesso ne caratterizza le descrizioni, non è presentato come uno scherzo o come una mera formalità alla quale i personaggi si adeguano; risulta anzi essere una delle riflessioni fondamentali del testo che anima le ragioni dei protagonisti.

Il testo è diviso in tre parti, la prima va dal 1924 al 1943 e racconta il mito fondativo del progetto di Rudienko, ossia la fondazione della Repubblica Popolare di Leninesia, la cui nascita viene sancita dopo un incontro tra Magomedov, braccio destro di Stalin, e Rudienko. La Repubblica avrebbe esercitato una certa sovranità interna, sarebbe stata confinata a nord della Russia, impegnandosi a escludere ogni rapporto internazionale e a mantenere segreto il possesso del corpo di Lenin. Il corpo, in questa prima fase, svolge una duplice funzione: una ideologica e sacrale e un’altra pratica. Da una parte il possesso del corpo garantisce ai fondatori della Repubblica di Leninesia di poter dettare le loro condizioni ai comandi sovietici. Dall’altra Lenin è anche, e soprattutto, uno strumento simbolico che rappresenta la rivoluzione nei suoi obbiettivi più puri, prima che venissero corrotti dalle politiche staliniste. Il rapporto con Lenin come simbolo assume caratteristiche religiose. Per esempio, all’inizio del romanzo l’autore descrive come delle persone comuni notarono il corpo nel camion durante una sosta e per allontanarle «ci volle molto tempo perché quelle persone […] non riuscivano a rinunciare all’idea di trovarsi al cospetto di un santo, di un’icona capace di compiere miracoli» (p. 56). La sacralizzazione del corpo di Lenin ha un ruolo centrale nel romanzo e si accompagna agli obiettivi ideologici della Repubblica Popolare di Leninesia. Pala colloca la sorgente di questi ultimi in un misterioso testo, esoterico e filosofico, intitolato Itinerarium Mentis in Lenin, esistente in due copie alle quali poche persone hanno accesso. Le differenze programmatiche tra Leninesia e Unione Sovietica vengono esposte alla fine della prima parte del testo, quando prima di dare il benestare alla nascita della Repubblica di Leninesia un filosofo sovietico – Vorobiov – è chiamato a dialogare con un esponente della Leninesia – Guanovič – per stabilire se l’ideologia della Repubblica potesse collocarsi nell’alveo dell’ortodossia marxista o meno (pp. 124-130). In questo frangente Guanovič chiarisce come il pensiero dei fondatori della Repubblica sia influenzato profondamente da Antonio Gramsci e miri a ottenere, tramite un’egemonia non coercitiva – a differenza della Russia Stalinista – un consenso vero sulla società civile, una mobilitazione costante verso il perfezionamento della società e dell’individuo per arrivare a una forma di società perfetta, capace di vincere anche la morte. La tensione verso la perfezione è l’obiettivo alla base dei principi teorici della neonata Repubblica e permette all’autore di enfatizzare la portata palingenetica del progetto, che sembra caratterizzare anche il rapporto con la morte e, in particolare, il rapporto con il corpo di Lenin.

La seconda parte del testo, ambientata nel 1953, anno della morte di Stalin, guarda al rapporto tra Unione Sovietica e Repubblica Popolare di Leninesia attraverso un diario attribuito a Akim Borisovič Bobrov, uno dei pochi funzionari sovietici ai quali è stato concesso di entrare nella Repubblica. La terza e ultima sezione getta un ultimo sguardo sui protagonisti del primo trasporto del corpo di Lenin, la loro situazione e quella della Repubblica Popolare di Leninesia nel 1964. Queste due sezioni sono molto fedeli alle prospettive dei protagonisti, il narratore non è onnisciente ma rispetta le possibilità epistemologiche di ciascuna delle persone coinvolte in queste ultime due parti del testo. Mentre la prima sezione pone la domanda alla base del testo (con la consapevolezza delle degenerazioni di Stalin e con una rinnovata base ideologica, sarebbe stato possibile sviluppare un sistema di potere politico capace di evitare queste degenerazioni?), le ultime due provano a dare una risposta a questa domanda, guardando allo sviluppo della Leninesia attraverso le storie dei singoli.

Il testo esplora una molteplicità di aspetti ideologici, morali e filosofici che caratterizzano le vite dei personaggi e arricchiscono i significati che il testo porta in sé. In queste considerazioni conclusive credo sia necessario sottolineare un significato che emerge dalla lettura complessiva del libro, cioè il generale pessimismo sul rapporto tra ideologia e pratica. L’ultimo viaggio di Lenin è un’opera che unisce la profondità della riflessione ideologica ai ritmi di un romanzo che, al netto di alcuni passaggi sulle biografie dei protagonisti, risulta essere coinvolgente e ironico, capace di mescolare storia e finzione fino a renderle difficilmente distinguibili. La parabola seguita dai personaggi, dalle loro idee e dai loro tentativi di realizzarle fa emergere una prospettiva pessimista non solo sulla possibilità che un’idea utopica non venga corrotta dalla pratica, ma anche sull’utilità stessa del tentare una prosecuzione pratica di un’idea utopica. Questo pessimismo è condensato nella figura di Boris Konstantinovič Korsakov, funzionario del partito comunista e protagonista della terza parte del libro. Un personaggio quasi esistenzialista coinvolto, suo malgrado, nelle lotte ideologiche interne alla Leninesia e che alla fine del romanzo realizza come «tra la sua personale esistenza di comunista, marito, padre e amante e l’esistenza di un nichilista ottocentesco qualunque non ci fosse alcuna differenza in termini di sensatezza e compiutezza […]. In base a queste considerazioni aveva deciso di cancellare in un colpo solo tutta quella vicenda» (p. 245). Korsakov, riconoscendo la mancanza di senso della sua vita, sembra realizzare come l’ideologia alla base della Leninesia, rappresentata in quel frangente dai protagonisti – ormai invecchiati – del mito fondativo, non avesse alcuna rilevanza, tanto da poter essere cancellata senza troppe preoccupazioni. Trovare un significato metaforico in un personaggio nichilista che decide di interrompere la vita di alcuni anziani che la dedicarono tutta a servire un’ideologia utopica è fin troppo semplice. Provare invece ad analizzare il pessimismo del testo in rapporto alla storia raccontata può fornire un’ulteriore chiave di lettura.

La concezione dell’ideologia come elemento utopico, piuttosto che programmatico, rende il testo coerente con la nostra contemporaneità, nella quale un aggettivo come ‘ideologico’ sembra venire utilizzato quasi esclusivamente con un’accezione negativa, spesso associato a movimenti progressisti che si vuole sminuire denunciandone un’ipotetica eccessiva ortodossia. Anche il pensiero marxista, ai suoi albori, ha criticato il concetto di ideologia, individuandola come falsa coscienza strettamente legata alle condizioni dello sviluppo capitalista. Nonostante ciò, i lavori di Eduard Bernstein, Lenin e soprattutto Gramsci contribuirono a risemantizzare il concetto, evidenziandone la potenziale utilità all’interno della lotta di classe. Nell’undicesimo quaderno, il filosofo sardo sottolinea come l’ideologia si debba intendere come una concezione del mondo che ambisce a diventare egemone, più simile alla religione che a un’ideologia politica in senso stretto. All’interno di questa elaborazione, Gramsci concepisce l’ideologia come uno strumento tramite il quale un gruppo di individui può acquisire coscienza di sé stesso in quanto collettivo, consolidarsi come blocco sociale e in questo modo entrare nella lotta di classe. Questo passaggio, qui semplificato all’estremo, credo possa fornire la base per una critica al pessimismo del testo. Il libro, nel raccontare la formazione della Leninesia, non propone un momento nel quale si forma una coscienza collettiva di classe o, tantomeno, un momento di lotta di classe attraverso il quale istituire una nuova utopia socialista. Anzi, questa nuova utopia si forma in seguito a delle negoziazioni tra i leader sovietici e i capi della congiura, senza alcuna dimensione collettiva. Di conseguenza, l’ideologia proposta dall’autore diviene un programma da seguire tramite la costruzione di un’egemonia in modo – teoricamente – non coercitivo, esponendosi ad alcune delle contraddizioni dell’Unione Sovietica. La mancanza di una dimensione collettiva e di classe viene evidenziata anche da Pala, che narra come una parte fondamentale dell’amministrazione della Leninesia venga esercitata dai membri di una misteriosa «cerchia oscura», raccolta intorno a Rudienko sin dall’inizio della sua attività politica, numericamente ridotta e non corrispondente al concetto di classe sociale.

In conclusione, la Repubblica Popolare di Leninesia sembra ripercorrere alcune delle contraddizioni che hanno caratterizzato la storia dell’Unione Sovietica. L’origine di queste contraddizioni può trovarsi nell’incapacità della pratica di seguire l’utopia ideologica, ma anche in alcuni elementi storici seguiti sistematicamente e coerentemente dall’autore. Ciò che manca è la dimensione collettiva: la Repubblica Popolare di Leninesia non è generata tramite la lotta di classe, ma è un tentativo di correggere, dall’alto, le degenerazioni staliniste. Di conseguenza, le possibili contraddizioni che offre questo esperimento ricalcano quelle offerte dall’Unione Sovietica. La domanda sull’origine di queste contraddizioni rimane però aperta, non esclusivamente ascrivibile al rapporto tra ideologia e pratica, ma anche riconducibile all’incoerenza di costruire una società comunista perfetta partendo dalle istanze della classe dirigente e non da quelle di una lotta di classe. Il pessimismo che emerge dal testo può attestarsi come figlio della coerenza storica adottata dall’autore e non va a sminuire la portata generale di un libro che bilancia storia, narrazione e filosofia. Nel complesso, è un lavoro che offre varie riflessioni sul rapporto tra uomo e filosofia al quale, a mio avviso, va fatto un plauso particolare per la ricostruzione di quell’esperienza prospettica alla quale si accennava all’inizio e che, negli ultimi anni, sta venendo progressivamente dimenticata.


Francesco Pala, L’ultimo viaggio di Lenin, Vicenza, Neri Pozza 2023, 18 €, 256 pp.