Georgi Gospodinov (Jambol, 1968) è, secondo lo slavista e traduttore Giuseppe Dell’Agata, «il più importante scrittore bulgaro vivente». Già redattore letterario, ha esordito come poeta e poi come romanziere con Romanzo naturale (1999; trad. it. 2007) a cui è seguita la raccolta di racconti …e altre storie (2001; 2008). Con il secondo romanzo Fisica della malinconia (2012; 2013) ha ottenuto il riconoscimento internazionale. Sono seguiti i racconti di E tutto divenne luna (2013; 2018) e Tutti i nostri corpi. Storie superbrevi (2018; 2020). Il suo terzo romanzo, Cronorifugio (2020; 2021) ha vinto il Premio Strega Europeo 2021 e l’International Booker Prize nel 2023. Il suo ultimo libro tradotto in italiano è l’antologia poetica Lettere a Gaustìn e altre poesie (2022) che copre l’intero arco della produzione in versi di Gospodinov, dal 1992 a quella più recente. Tutti i suoi libri sono editi in Italia da Voland.
È un torrido pomeriggio di inizio settembre a Mantova, animata dal caos festoso del Festivaletteratura 2024, al quale Gospodinov è stato invitato per un dialogo con Federica Manzon dal titolo Siamo macchine per il passato.
Lo incontro il giorno prima dell’evento, sulla terrazza di un hotel in pieno centro. Suonato il campanello dell’ascensore le porte si aprono e seduta a un tavolino da colazione trovo Daniela Di Sora, slavista ed editrice di Voland, meritoriamente responsabile di aver portato in Italia l’Opera di Gospodinov, del quale ha tradotto, con Irina Stoilova, il romanzo d’esordio. Sarà interprete dal bulgaro per l’occasione di questa intervista. Gospodinov non c’è; è andato a cambiarsi la camicia, sorpreso dal caldo. Quando arriva, mi saluta calorosamente: subito mi affascinano i suoi occhi chiari e penetranti e il suo sorriso sornione. La sua disposizione allegra e la sua voce dolce ma sicura accompagnano una piacevole e fruttuosa chiacchierata.
Tutte le sue opere disponibili in italiano sono pubblicate da Voland e, con l’eccezione di Romanzo naturale, tradotte da Giuseppe Dell’Agata. Avere un unico editore e un unico traduttore garantisce una grande compattezza alla sua ricezione nel nostro paese. Che rapporto ha con l’Italia e cosa ne pensa dell’accoglienza riservata alla sua Opera?
Ho avuto fortuna con l’Italia! È uno dei luoghi in cui i miei libri sono stati apprezzati di più, sia dalla critica che dai lettori. Ho avuto degli incontri indimenticabili in diversi luoghi d’Italia ma, la cosa più bella è quando ci sono giovani lettori e soprattutto giovani scrittori che vengono da me per parlare di libri. Addirittura, ho incontrato dei lettori, a Venezia, che si erano comprati una barca e l’avevano chiamata Gaustìn [il personaggio alter-ego ricorrente nei libri di Gospodinov, ndr]! Dato che questi lettori non avevano molti soldi ci avevano messo sopra il motore di un trattore: la barca andava pianissimo. È una situazione esilarante da immaginare: questa barca lentissima di nome Gaustìn che naviga arrancando tra i canali di Venezia con tutta la gente a riva a guardarla!
Degli scrittori sono venuti a trovarmi a Sofia a maggio e abbiamo discusso a lungo di cosa dire alle loro mogli, che ormai sono piuttosto arrabbiate a causa di questa attenzione privilegiata che i mariti mi riservano. Molto spesso nel pomeriggio ci mettevamo alla finestra e osservavamo attentamente il vuoto cercando di allontanare la nostalgia, cercando di ricreare nella mente delle situazioni passate. Io stesso non so come tirarmi fuori dal passato. Queste sono tra le cose più belle che possano capitare a uno scrittore e mi capitano molto più spesso in Italia che altrove.
Nei suoi libri ci sono spesso immagini che rimandano a un desiderio atavico di onniscienza e ubiquità: lo sguardo caleidoscopico della mosca in Romanzo naturale, la visione di Dio come un insetto che può essere invisibile e dappertutto in Fisica della malinconia, lo stesso alter-ego ricorrente Gaustìn che viaggia nel tempo e riesce a viverlo come un eterno presente.
Questo desiderio, umano, troppo umano e fortissimo negli scrittori, si scontra con i limiti della narrazione stessa, che deve per forza essere parziale. Non si può essere come Funes el memorioso di Borges neanche nella scrittura di finzione. Mi sembra che nei suoi libri questa tensione sia molto palpabile e si sostanzi in continui stratagemmi per forzare le gabbie della scrittura, come vive questo dilemma nella vita e nella scrittura?
Per me la scrittura non è lineare. Non comincia in un punto e finisce in un altro. Neanche la vita e il pensiero sono lineari; anzi, spesso quest’ultimo è schizofrenico. Il problema è che tu sei costretto a mettere una parola dietro l’altra mentre la vita accade in un attimo, senza direzione. Il mio obbiettivo è trasmettere questa schizofrenia e sfaccettatura della vita: voglio concentrarmi nel ricostruire e trasmettere questo. Io ho deciso che i miei romanzi debbano essere fatti da una sfaccettatura di storie; che debbano essere costituiti di “animaletti”, di “insetti di storia”. Io non credo nella monumentalità, sia essa negli edifici o nelle ideologie.
Perciò i miei romanzi non sono romanzi classici ma penso che siano più vicini al modo in cui l’umanità di oggi pensa. Non pensiamo in un solo modo e non viviamo in un solo modo.
Con una felicissima definizione ha definito lo stile del suo primo romanzo come “postmodernismo dal volto umano”, in cui gli escamotage non offuscano una forte pregnanza emotiva ed empatica che coinvolge e non allontana il lettore; David Foster Wallace chiamava questo fattore che lo fece allontanare dal postmodernismo puro il “pugno nello stomaco”. Sicuramente la destrutturazione narrativa e temporale è onnipresente nelle sue narrazioni lunghe. Cosa significa, per lei, scrivere un romanzo tra XX e XXI secolo? C’è stato qualche cambiamento di riferimenti e influenze negli ultimi anni?
Ci fu un dibattito attorno all’uscita di Romanzo naturale in Bulgaria: è postmoderno o non è postmoderno? La risposta è più complessa. Sicuramente ho impiegato strumenti che appartengono al postmodernismo ma cercando di salvaguardare questo “volto umano”: io non voglio essere freddo. Non voglio utilizzare strumenti e tecniche narrative fini a sé stesse. Il mio obbiettivo è prendere per la gola il lettore e dirgli: “ascolta, è importante che mi ascolti perché ti voglio dire qualcosa”! Questo è cruciale nella mia scrittura. Non troverai mai un postmodernista che si abbassi a comunicare allo stesso piano del suo lettore per raccontargli il proprio dolore o cose simili. In questa circostanza non sono un postmodernista perché non mi comporto abbastanza freddamente, non voglio sempre giocare con il lettore perché spesso voglio condividere qualcosa di estremamente personale ma usando questo armamentario postmoderno. La mia tesi magistrale, dei primi anni ’90, è stata la prima in Bulgaria dedicata al postmodernismo nella letteratura bulgara; quindi, non mi dichiaro innocente riguardo a tutto ciò. Un conto però sono le tecniche che utilizzo; un altro è essere osservanti nei confronti del regolamento, della dottrina postmodernista. Per me rimane fondamentale questo volto umano, la nostalgia, la malinconia, il rimpianto per le cose che non sono mai accadute. Aggiungerei una cosa; nei miei romanzi, per ora tre pubblicati in italiano, è molto importante la fusione tra letteratura e scienza. In Romanzo naturale si trattava di narrativa finzionale e Storia naturale, in Fisica della malinconia la fusione era con la fisica quantistica, in Cronorifugio la scienza di riferimento è la neurologia.
Visto che prima stavamo parlando della mia ricezione italiana, mi è capitato, dopo la pubblicazione di Cronorifugio di ricevere e accettare inviti a dialoghi interdisciplinari con scienziati serissimi, neurologi dell’Università di Bologna, per discutere di memoria, di Alzheimer eccetera. Ho persino dialogato con dei teologi, sempre in Italia, anche se non ricordo dove. Abbiamo parlato di Tempo e della Fine dei Tempi. Per me la cosa importante è sapere che gli scienziati abbiano realizzato che, se vogliamo vivere in tempi come questi, bisogna che si impari ad amare la letteratura.
Parlando di cambiamenti nella mia attitudine, quando ho pubblicato Romanzo naturale, che è del 1999, avevo 33 anni e mi sentivo più giocoso, ottimista. Con i successivi romanzi la malinconia è diventata più presente. Io non scrivo romanzi solo per intrattenimento o per vendere copie, perciò sono un romanziere molto lento. Voglio scrivere dei romanzi che vengano da un’urgenza ma che siano contemporaneamente dei laboratori, in cui io possa pensare e dialogare con i lettori. I miei romanzi sono essenzialmente una chiacchierata con il lettore. In Fisica della malinconia ci sono strade secondarie, stanze, momenti di pausa in cui il narratore interroga il lettore. Il romanzo è sempre un laboratorio di idee.
Cronorifugio è il romanzo più apertamente politico della sua carriera fino ad ora, in cui la dimensione confortante del tempo passato si scontra con le sue possibili strumentalizzazioni. Senza addurre significati profetici alla sua scrittura, mi sembra che lo scontro ideologico e fisico tra passato e presente sia ora presentissimo nel dibattito pubblico. Il suo romanzo è sicuramente una capsula del tempo che rappresenta bene un’ossessione attuale e il narratore e Gaustìn, che lo completa in tutto ciò che egli non può fare, sembrano cercare, sempre più disperatamente, di tenere insieme un mondo che rischia di frammentarsi, nello spazio e nel tempo. Lei che ne pensa?
Appena terminato il libro pensavo davvero di aver scritto un romanzo distopico ma al momento della pubblicazione iniziò ad accadere di tutto. La cosa più pericolosa è questa strumentalizzazione del passato e della nostalgia. Quello che cerco di dire è che questo genere di nostalgia non è innocente e può essere utilizzata a fini politici. Il passato è una sorta di mostro discreto, crea dipendenza come una droga e ne vuoi sempre di più, fino ad avvelenarti. Quando stavo lavorando alla seconda parte del romanzo, la parte politica, era il 2016, e avevo in mente la Brexit. Ciò che stava accadendo era la promessa di un passato, la volontà politica di riportare indietro l’orologio, di riportare le nazioni ad un passato di grandezza, come sosteneva Trump. Io vengo da un Paese ex-comunista, dove si viveva nella promessa di un futuro, venivamo pagati in futuro. Ora ho realizzato che il passato, in questo senso, è fatto della stessa pasta, ha la stessa consistenza. È una merce di scambio che alcuni trafficanti di passato utilizzano per i loro fini. Allo stato attuale delle cose Cronorifugio è diventato un romanzo realistico.
Nostalgia e malinconia sono parole d’ordine ricorrenti nei suoi libri. Sono due sensazioni connaturate all’essere umano che si ripresentano nel corso di tutta la sua storia. Forse, però viviamo in un tempo in cui, più che in ogni altra epoca, il passato (o una versione di esso) ci viene venduto. Ci siamo ammalati di passato?
Sì, ne sono sicuro ed è il motivo per cui ho scritto Cronorifugio. Ma dovremmo anche separare la nostalgia individuale, che ci assale di tanto in tanto – io pure sono un nostalgico –, da un tipo di nostalgia collettiva. Ci sono persone che provano a inventare e vendere una nostalgia collettiva che faccia venire voglia di, per esempio, tornare agli anni Settanta. Cosa c’era negli anni Settanta? Il comunismo! E allora torniamo al comunismo: eravamo così felici allora! Ma se ci mettessimo davvero a leggere un giornale bulgaro degli anni Settanta, l’unica cosa che ci colpirebbe sarebbe il linguaggio…un linguaggio così rigido, così legnoso. Ciò che ci fa cadere nella trappola della nostalgia dei populisti è che tutti vogliono, naturalmente, tornare al tempo della propria giovinezza ma questo desiderio dovrebbe essere separato dalla visione propagandistica di quella nostalgia di un passato storico specifico. Da nostalgico odio quando la mia condizione viene presa da qualcuno per farci della propaganda.
Parlando di condizioni fisiche della scrittura, ha menzionato più volte come i suoi romanzi spesso nascano in modo frammentario; a partire da appunti su taccuini o poesie. Questo stile di scrittura è rimasto costante nel tempo o è cambiato?
Direi che è rimasto costante. Prendendo in mano una qualsiasi delle mie poesie, dei miei racconti, dei miei romanzi saltano subito all’occhio molti temi e tecniche ricorrenti. C’è della narrativa nella mia poesia e c’è della poesia nella mia narrativa, specialmente nei romanzi. Forse tutto ciò è connesso alla tradizione orale del racconto, alle storie che raccontano gli anziani, allo stile labirintico di quei racconti.
Le poesie insegnano la brevità e la densità, sicuramente se sono scritte dietro i biglietti dell’autobus come faceva lei. Passare alla prosa è stato semplicemente un “annacquare” la poesia oppure ha sentito un cambiamento più profondo?
Non ho mai abbandonato la poesia. Anzi, devo ringraziare di cuore Voland per aver pubblicato questa mia antologia [Lettere a Gaustìn e altre poesie, ndr]. Ho iniziato dalla poesia e mi considero tuttora un poeta che scrive romanzi. Ne scrivo ancora di poesie, è un esercizio, un apprendistato. Ma spesso gli editori ne sono quasi spaventati…non le pubblicano volentieri; perciò sono veramente felice di poter vedere le mie poesie pubblicate anche in italiano. Per me la poesia è stata la grande scuola di scrittura e, nella mia personale gerarchia, la poesia rimarrà sempre superiore al romanzo. Penso che sia molto raro e difficile scrivere delle buone poesie: devono essere intense, andare oltre la parola. Ho questo ricordo: ero un bambino molto timido e nella mia famiglia e nel mio paesino in Bulgaria c’era questa grande tradizione di raccontare storie; lo facevano gli adulti e soprattutto gli anziani. Allora, se avevi sette, otto anni non venivi assolutamente considerato e quindi, se ci tenevi a raccontare una storia, dovevi essere rapido: ti davano trenta secondi, un minuto… serviva essere brevi e incisivi, prima di essere cacciati dalla stanza e tornare a giocare fuori. Forse ho iniziato a scrivere le prime brevi poesie seguendo questa idea: “se hai qualcosa da dire, dillo in fretta per non scocciare troppo gli altri”. Ora che sono cresciuto penso di essermi guadagnato il diritto di raccontare storie più lunghe, anche se la mia narrativa è sempre una successione di piccole storie in miniatura.+
Gaustìn, nel racconto che lo presenta contenuto in …e altre storie è così chiamato per una fusione tra Sant’Agostino e Garibaldi, una «fusione di teologia antica e tarda spinta rivoluzionaria» (p. 102). Questo epigramma quanto si adatta a o si discosta da Georgi Gospodinov?
In questo caso penso che stiamo parlando di caratteristiche eminentemente “gaustiniane”. Non è una frase che mi rappresenta, ma marca bene la differenza tra me e Gaustìn. Io e lui non siamo uguali. Me lo sono dovuto inventare e dargli dei super-poteri che io non posso avere: abitare diversi corpi in diverse epoche, poter essere molto radicale… ecco perché c’entra Garibaldi. Gaustìn è anche abbastanza “monomaniaco”, si fissa molto sulle cose, mentre io cerco di cambiare punti di vista e di confrontarmi spesso con persone diverse da me.
Un’ultima curiosità: quali sono i suoi scrittori e scrittrici preferiti? Sono rimasti gli stessi degli esordi o se ne è aggiunto qualcuno che ha apprezzato di più in maturità?
Da piccolo amavo Andersen e Zahariy Stoyanov, un autore bulgaro. Ora i miei autori preferiti sono quelli che amo rileggere più spesso: Borges, Brodskij, e molta, molta poesia. La poesia mi accompagna ogni giorno, e settimanalmente rileggo Dylan Thomas, Eliot e altri. Se sono cambiate le mie letture? Si, direi che si sono aggiunti autori e autrici più recenti: Joan Didion, Olga Tokarczuk, Dave Eggers… mi è piaciuto Oceano mare di Baricco! E poi leggo moltissimi manoscritti, inediti che mi mandano soprattutto i giovani scrittori. Sono molto caotico nella lettura e a volte mi basta solo sapere di avere intorno i miei libri preferiti per poterli guardare, toccare, aprirli un momento. Ci tengo anche a leggere libri non connessi alla letteratura: saggi di fisica, neurologia, apicoltura, giardinaggio.
(Questa intervista è stata condotta il 6 settembre 2024 al Festivaletteratura di Mantova. Ringrazio Georgi Gospodinov per la sua disponibilità e Daniela Di Sora per la traduzione dal bulgaro)