Di biografie di artisti e artiste è piena la letteratura, ed è probabile che la fascinazione per Biografia di X, di Catherine Lacey, uscito a maggio per Sur con traduzione di Teresa Ciuffoletti, cominci proprio dal titolo. Titolo che stride con la dichiarazione, sul retro di copertina, che la X di cui leggeremo è in realtà un personaggio inventato. Il libro si sarebbe potuto intitolare anche Biografia di Dorothy Eagle, Deena Stray, Clydelle, Bee Converse, Clyde Hill, Martina Riggio, Yarrow Hall, Věra, Cindy O, Cassandra Edwards (e potenzialmente molti altri). La protagonista X, infatti, è un’immaginaria artista poliedrica che ha vissuto sotto vari pseudonimi. La sua vedova, Charlotte Marie Lucca, decide di scriverne la biografia – nonostante X non lo desiderasse – dopo che una versione piena di errori e imprecisioni era stata fatta circolare poco dopo la sua morte. Che sia lei l’autrice di quanto scritto nel volume lo conferma il doppio frontespizio interno.

Charlotte Marie ripercorre la storia personale della moglie a partire dal loro primo incontro, una sorta di innamoramento a prima vista, e torna indietro sino alla nascita di X. Il processo di ricostruzione è faticoso e sofferto perché non è frutto solo dei ricordi di Charlotte Marie, o dei racconti di seconda mano la cui fonte era X stessa: X non è mai stata infatti particolarmente incline a parlare del suo passato (a dire il vero, a parlare di sé in generale), per cui Charlotte Marie deve appoggiarsi alle memorie e alle parole di altri che hanno condiviso con lei un pezzo di vita. Le loro versioni dei fatti spesso stridono con ciò che Charlotte Marie sapeva o intuiva sulla moglie.

«All’inizio delle ricerche sulla vita di X mi ero data delle regole e le seguivo. La prima regola era che avrei letto solo la parte dell’archivio di X che aveva lasciato “in ordine”, nient’altro. La seconda regola era che una volta scoperto il suo luogo di nascita, dovevo fermarmi. […] La quarta era che avrei dovuto scrivere solo un saggio per smentire i tanti errori di Theodore Smith e poi basta. Ho infranto ogni singola regola che mi sono prefissata. E ora mi do da fare, un gran da fare, giorno e notte, a rovinarmi la vita» (p. 237)

La ricerca di testimoni della vita d’artista di X e gli spostamenti, spesso anche fisici, che Charlotte Marie compie per mettere insieme pezzi di vita del suo grande amore, conducono alla scoperta della geografia di Biografia di X: siamo negli Stati Uniti, ma Stati Uniti diversi da come li conosciamo oggi. Dopo la Seconda guerra mondiale, sono stati divisi in tre grandi blocchi: i Territori del Nord, del Sud e dell’Ovest. Al Sud è toccata la sorte peggiore: al potere c’è una teocrazia fascista, le libertà dei singoli sono a dir poco limitate, specialmente quelle delle donne. Ed è proprio al Sud che X è nata, letteralmente e, in un certo senso, artisticamente: dal Sud è fuggita a seguito di un attentato, mentre tutti la credevano morta; il primo pseudonimo era quindi una necessità oltre che un segno di rinascita e autodeterminazione. La geografia “alternativa” si accompagna a un’ucronia, contaminata però da avvenimenti e personaggi davvero esistiti. Ad esempio, X ha lavorato con David Bowie e Susan Sontag, e Bernie Sanders è in politica – e negli anni ‘90 ottiene un incarico di rilievo.

La percezione di veridicità della storia è amplificata dalla costruzione del volume: si tratta di un libro costellato di citazioni, note a piè di pagina, foto e documenti. A volte le citazioni sono direttamente tratte da lavori di autori e autrici che attualmente scrivono: ad esempio, la citazione di pag. 140 è attribuita a Rachel Aviv, dal volume Sindrome della rassegnazione nell’ex Territorio del Sud (New York, Routledge 2001). Essendo Aviv una giornalista che tratta tematiche legate alla salute mentale, questo tipo di nota conferisce grande autenticità alla storia di X.

L’ultima creazione di Catherine Lacey – che, per coloro che non l’avevano mai letta prima, spinge al recupero di tutte le opere precedenti – è dunque una sperimentazione stilistica, un romanzo ucronico con elementi cronistorici, una biografia corredata di foto e documenti ma anche una riflessione su quanto non conosciamo mai fino in fondo chi abbiamo accanto, specialmente mentre lo abbiamo accanto, e sul significato sfaccettato di identità, spesso fluido ed evanescente. Così come Lacey gioca a esplorare vari generi, rendendo impossibile e perfino limitante sceglierne solo uno per la sua opera, X sperimenta con la sua identità e col concetto stesso di identità.

Giunti alla fine della storia, nonostante X sia costantemente il soggetto delle vicende, la sensazione di conoscerla, di sapere dire con certezza chi è, sfugge al lettore: sappiamo moltissimo di ciò che la donna ha fatto, dove l’ha fatto, come l’ha fatto; ma la mancanza di dialogo a un livello profondo con la moglie e narratrice fa sì che la ricostruzione dell’identità di X assomigli molto più a un mosaico che a un puzzle in cui tutti i pezzi combaciano e danno origine a un’immagine nitida e dettagliata.

Sappiamo paradossalmente molto di più sul mondo interiore della vedova di X, che vediamo progredire da inconsapevole, introversa e succube moglie a disillusa e disincantata biografa, verso la presa di coscienza di quanto ciò che a lungo ha pensato come grande amore era in realtà dipendenza affettiva.

Biografia di X è un libro che è facile immaginare come una giostra degli specchi: ricco di riflessi e rimandi, moltiplica le prospettive e quasi disorienta, portando il lettore a vagare tra immagini distorte e sentieri che sembrano ripetersi. La voce della narratrice, percepita come troppo carica di emotività e soggettività, non sembra abbastanza per guidare verso l’uscita. E alla fine si resta con l’impressione che X, oltre alle sue opere artistiche quali canzoni, romanzi e installazioni, abbia cercato sempre di fare della sua vita la sua più grande opera d’arte.


C. Lacey, Biografia di X, trad. T. Ciuffoletti, Roma, SUR, 503 pp., 20.