Nell’agosto del 2024 Racconti Edizioni ha pubblicato, con la prefazione di Paolo Cognetti, Proprio quella notte, raccolta di racconti di Tobias Wolff uscita nel 1997 e già proposta ai lettori italiani da Einaudi nel 2001. Per questa edizione la traduttrice einaudiana, Laura Noulian, ha rivisitato il testo assieme all’editore, che nel settembre del 2023 aveva dato alle stampe la mirabile novella di Wolff Il ladro in caserma.

Comune a quel testo e ai quindici che compongono Proprio quella notte è il felicissimo equilibrio tra la godibilità delle storie narrate e i dilemmi morali che palpitano sotto di esse. Le vicende che Tobias Wolff ci regala sono sempre vivide, tese, mai rallentate o appesantite dal giudizio autoriale: le considerazioni sulla natura umana non appaiono come ragionamenti intellettualistici ma come conseguenze delle scelte individuali. In altre parole: non è lo scrittore ma la vita a fare la morale.

I personaggi di Proprio quella notte si trovano, spesso loro malgrado, in un punto cruciale (per sé o per altri) della propria esistenza. La varietà di tono tra i diversi racconti è tale per cui, se in alcuni casi il protagonista è semplicemente sollecitato nella propria emotività, altre volte a essere in gioco è addirittura la sopravvivenza, propria o altrui.

Più che mai con la prosa di Tobias Wolff vale la pena di fare ricorso a stralci dell’opera. Non solo per avvalorare quanto fin qui detto, ma anche perché tutte le sue narrazioni, già dalle battute iniziali, sono ricche di accadimenti, popolate da individui che scalpitano per affermare i propri desideri, la propria idea di mondo. Ecco, per esempio, l’attacco de La vita del corpo:

«Una sera Wiley si sentì solo e prese l’auto per andare fino a un bar di North Beach il cui proprietario, anni prima, era stato un suo collega di scuola. Guardò la partita di pallacanestro in tv, poi attaccò bottone con la tipa seduta accanto a lui. Era una veterinaria. Si chiamava Kathleen. Quando Wiley ne ripeté il nome calcando l’accento irlandese, lei gli sorrise» (p. 67).

Qui, in meno di sette righe a stampa, Wolff mostra quanto ha dichiarato in svariate interviste, e cioè che il racconto è in fondo un romanzo condensato, la cui minore ampiezza impone la massima concentrazione su ogni parola. In effetti, ci troviamo subito di fronte a una situazione nitidamente delineata dal punto di vista psicologico, e a una tensione erotica che promette di accompagnarci sino allo scioglimento.

E così, dicevamo, i quindici racconti della raccolta mettono in scena personaggi a tutto tondo, la cui personalità e le cui aspirazioni sono messe alla prova dall’imprevedibilità dell’esistenza. Giustamente segnalato da Cognetti nella prefazione come «piccolo racconto perfetto» (p. X), Neve fresca è tra i testi più divertiti e divertenti della raccolta. Ecco come lo splendido inizio espone con pochi tratti gli equilibri psicologici familiari:

«Appena prima di Natale, mio padre mi portò a sciare sul monte Baker. Aveva dovuto lottare per ottenere il privilegio della mia compagnia, perché mia madre era ancora arrabbiata con lui da quando, durante la sua ultima visita, mi aveva portato di nascosto in un club, a vedere Thelonious Monk» (p. 59).

Il ragazzo si ritroverà in auto col suo infantile padre, che continua a dichiararsi guidatore provetto, e che per non arrivare in ritardo dalla moglie alla cena della vigilia di Natale decide di avventurarsi lungo una strada chiusa dalla polizia dopo un’abbondante nevicata. Durante il tragitto, il sentimento del giovane io narrante muta progressivamente dallo sgomento all’ammirazione per lo spericolato genitore:

«Qui e là notavo qualche indizio della strada, una cunetta, un guardrail, dei picchetti arancioni, però mai in numero sufficiente a consentirmi di individuare il tracciato della strada. Ma non spettava a me farlo. Alla guida c’era mio padre. Mio padre a quarantotto anni, con le sue rughe, i suoi modi gentili, la sua assoluta inaffidabilità, la sua traboccante sicurezza. Era un guidatore eccellente» (pp. 64-5).

Alla categoria dei racconti più gioiosi appartiene anche Piloti, implicito omaggio alla sgangherata e passionale età giovanile, il cui sviluppo è nuovamente espresso già nelle battute iniziali: «Il mio amico Clark e io decidemmo di costruire un aereo a reazione. Così passammo tre settimane in camera sua a perfezionare il progetto al tavolo da disegno» (p. 91). E, proprio come nella novella Il ladro in caserma, in questo racconto Wolff riesce – sempre con grande parsimonia di mezzi – a far percepire il senso di inquietudine che l’adultità emana su chi adulto dovrà diventare:

«Sua madre [di Freddy, un altro amico del protagonista, N.d.R.] era chiusa nella camera da letto sul retro. A volte ne usciva per offrirci un sandwich e farci delle domande sulla nostra giornata, ma avrei preferito che non lo facesse. Non avevo mai visto tanto dolore; mi atterriva. Ed ero ancora più atterrito dai tentativi di lei di superarlo, perché fallivano in modo plateale e patetico, rivelandomi un mondo dove le ferite non guarivano, e le cose non finivano sempre per il meglio» (p. 100).

In altri racconti, come in quello che dà il titolo all’opera, un dubbio morale che grava sulle azioni umane si presenta sotto vesti drammatiche ma anche, in un certo senso, perfide. In Proprio quella notte Mike, ferroviere addetto agli scambi, deve scegliere se salvare la vita al figlio che si è intrufolato nella sala macchine o i passeggeri di un treno in avvicinamento, che sta per transitare su un ponte mobile. E se abbiamo parlato di perfidia non è solo per via dell’angosciosa situazione in cui si trova Mike, ma anche per la composizione del racconto: la vicenda è narrata da Frank alla sorella Frances, e il complesso legame che unisce i due fratelli compone una storia autonoma che si intreccia con quella raccontata, in modo che l’una dilati l’altra, spezzandone e prolungandone la tensione.

Chiude la raccolta Una pallottola nel cervello, il cui protagonista è Anders, altezzoso critico letterario «noto per l’elegante e noncurante ferocia con cui stroncava qualsiasi libro gli capitasse di recensire» (p. 275). Anders ripone ogni sicurezza nella capacità di analizzare le situazioni intercettandone i cliché linguistici e mettendoli alla berlina: interpretando insomma la vita come l’ennesima opera letteraria da stroncare. Per sua sfortuna, il critico si ritrova in banca nel bel mezzo di una rapina, e pagherà un prezzo altissimo per l’incapacità di trattenersi dal rimbeccare l’eloquio di uno dei malviventi, zeppo di luoghi comuni. L’istante prima della fine, affiorerà alla memoria di Anders un ricordo d’infanzia, probabilmente la scintilla da cui è scaturito il suo accanimento professionale.

Tobias Wolff, tra i massimi scrittori di racconti degli ultimi decenni, è capace di rappresentare la realtà da una prospettiva per così dire iperrealistica, nel senso che della realtà indaga gli attimi di massima concentrazione della vita, quelli cioè in cui essa impone di esprimere schiettamente, con gesti concreti e senza possibilità di indulgere in calcoli, la propria personalità. E dal momento che la vita è incoercibile e resistente a ogni tentativo di amministrarla col bagaglio di esperienze accumulate, molto semplicemente ci sono volte in cui – di fronte all’irrimediabile – si fa la scelta giusta, benefica, salvifica, e ce ne sono altre in cui si soccombe.


T. Wolff, Proprio quella notte, con un’introduzione di P. Cognetti, trad. L. Noulian, Racconti Edizioni, Roma 2024, 288 pp. 18,00€