A tre anni dal suo ultimo libro, Beautiful World, Where Are You, Sally Rooney torna con un nuovo romanzo: Intermezzo, uscito nel Regno Unito per Faber & Faber il 24 settembre e pubblicato in Italia il 12 novembre da Einaudi, con la traduzione di Norman Gobetti.
Rispetto a Beautiful World, Where Are You (in italiano Dove sei, mondo bello, tradotto sempre per Einaudi da Maurizia Balmelli), Intermezzo sembra aver messo più positivamente d’accordo critica e pubblico anglosassoni. Gli elementi tipici della narrativa di Rooney tornano tutti: ambientato in Irlanda, il romanzo narra le vicende emotive di due fratelli, Peter e Ivan, che insieme a Margaret, Naomi e Sylvia ricostituiscono il solito schema di coppie che anima tutte le trame di Rooney (qui complicato dall’aggiunta di un personaggio rispetto al quadrilatero già esplorato nei romanzi precedenti). Peter è un brillante avvocato di 32 anni, ricco e di successo, che combatte con una depressione nascosta a tutti, compreso il fratello Ivan, un giocatore di scacchi prodigioso di 23 anni, impacciato e solitario. Il loro rapporto è travagliato, soprattutto dopo la morte del padre, con cui Peter aveva ormai pochi contatti, ma che viveva con Ivan. Sullo sfondo dell’elaborazione del loro lutto, Ivan inizia una relazione con Margaret, conosciuta durante un torneo di scacchi, divorziata e di 13 anni più grande di lui. Peter è legatissimo alla sua ex fidanzata Sylvia, malata cronica dopo un incidente di cui non si spiegheranno mai i dettagli, mentre porta avanti una relazione con una studentessa dell’età del fratello, dalla vita sregolata e precaria.
Le relazioni raccontate da Rooney sono, come al solito, ambigue e difficilmente catalogabili secondo termini tradizionali. Come già avveniva in Conversations with Friends (Parlarne tra amici), Rooney indebolisce il confine netto tra relazioni romantiche e amicali. In Intermezzo il rapporto tra Peter e Sylvia torna a porre l’accento sia sul limite labile tra queste due sfere sia sul ruolo che la sessualità (assente tra Peter e Sylvia) riveste in queste definizioni, depotenziandone la portata e la centralità. Aggiungendo Sylvia al quadrilatero di cui sopra, inoltre, Rooney permette a Peter di provare a smantellare il concetto di monogamia in cui comincia a non riconoscersi più.
A complicare le relazioni di quest’ultimo romanzo vi sono anche altri fattori e pregiudizi di natura tutta sociale come la differenza di età (che sembra costituire un problema, non a caso, per Ivan e Margaret più che per Peter e Naomi) e di classe (Naomi dipende economicamente da Peter). Quello che accomuna anche i rapporti più diversi, complicati e ambigui, qui come in tutti gli altri romanzi di Rooney, è il dialogo, che alimenta la trama, altrimenti povera di eventi, e definisce la caratterizzazione dei personaggi stessi. Nel mondo di Rooney le persone esperiscono la realtà, il mondo circostante, e conoscono sé stessi attraverso la relazione e il dialogo con l’altro:
oh, you take conversations too seriously, she says. Life isn’t just talking, you know. He looks at her while she places her hand on his arm. That’s a cryptic remark, what does that mean? She’s laughing. Prettier then. But what does she mean: life isn’t just talking? (p. 16).
È proprio nei dialoghi (ma anche attraverso i numerosi, più che in altri libri, soliloqui) che si sviluppa uno dei temi principali del romanzo: la morte. Non solo lo sfondo delle vicende emotive dei protagonisti è la perdita del padre, ma Peter, in una serie di episodi depressivi, riflette spesso sui concetti di morte e suicidio. È qui che emerge uno dei pregi del romanzo: riuscire a spogliare temi così oscuri della drammaticità che ci si aspetterebbe, per restituirli nella loro più violenta banalità, evitando il rischio di patetismo. Nonostante la sua vita apparentemente perfetta, l’insofferenza e la scontentezza di Peter sembrano poter avere soluzione solo nella morte, percepita come un evento qualsiasi, risolutore:
[…] I wish I was dead. Same as everyone sometimes surely. Idea occurs, that is. Remembering something embarrassing you did years ago and abruptly you think: that’s it, I’m going to kill myself. Except in his case, embarrassing thing is his life. Doesn’t mean he wants to really. Or even if he does, not as if he would do it. Just to think, or not even think, but to overhear the words inside of his own head. Strange relief like a catch released: I wish. Deepest and most final of desires. Something bitter in it too, luxuriously bitter, yes. And why not. Why doesn’t he, that is, if the idea is so consoling. Oh, for other people, of course: to protect them. Other people prefer you to suffer (p. 67).
La morte e, più in generale, i cattivi sentimenti (dal passato da incel misogino di Ivan al femminismo neoliberale e di facciata di Peter) non vengono edulcorati, ma, piuttosto, rappresentati da Rooney nella loro banalità, evitando il più possibile l’effetto didascalico in cui questo tipo di romanzi incappa spesso.
Morte, suicidio e cattivi sentimenti si collegano al tema fondante del romanzo: una certa unsuitedness to life, un’inadeguatezza alla vita provata da tutti i personaggi:
How often in his life he has found himself a frustrated observer of apparently impenetrable systems, watching other people participating effortlessly in structures he can find no way to enter or even understand. So often that it’s practically baseline, just normal existence for him. And this is not only due to the irrational nature of other people, and the consequent irrationality of the rules and processes they devise; it’s due to Ivan himself, his fundamental unsuitedness to life. He knows this. He feels himself to have been formed, somehow, with something other than life in mind. He has his good qualities, kind of, but none of them have much to do with living in the world that he actually lives in, the only world that can be said in a fairly real way to exist (p. 87).
Ivan, ex adolescente incel e solitario, socialmente impacciato, chiuso in sé stesso e nella sua passione per gli scacchi, è un neo laureato e ora precario costretto a chiedere soldi al fratello; Peter è solo in apparenza realizzato e di successo, ma, come visto, nasconde un profondo odio per se stesso e per la sua incapacità di legarsi alle persone in termini tradizionali e profondi; Margaret ha un matrimonio fallito alle spalle di cui tutti intorno la incolpano e vive con disagio e senso di umiliazione la sua storia con un ragazzo molto più giovane di lei; Naomi rischia lo sfratto, conduce una vita sregolata e dipende economicamente da Peter; Sylvia convive con una sorta di malattia cronica e con gli effetti di questa sulla sua vita privata e sentimentale.
Che Intermezzo sia il romanzo più maturo di Rooney finora lo testimonia anche lo stile. Se già attraverso le lettere di Beautiful World, Where Are You Rooney aveva insistito sulle differenti voci delle due protagoniste scriventi, qui l’alternarsi dei punti di vista dei fratelli è sostenuto anche da precise scelte stilistiche, per cui i capitoli di Peter presentano frasi più brevi, spezzate, monche, quasi a simulare la frenesia e l’oscurità dei suoi pensieri; quelli di Ivan sono invece meno criptici, le frasi mento sincopate. Il testo è inoltre infarcito di citazioni letterarie e filosofiche (elencate in una appendice alla fine del volume) che conferiscono un tono aulico che spesso stride, volutamente, con le voci che le pronunciano e con la loro ingombrante inadeguatezza alla vita, così da rinforzare il senso di straniamento generale dei personaggi.
Anche in questo romanzo Rooney guarda con attenzione e spirito critico all’attualità, come emerge nella scelta di parlare di monogamia, misoginia, precarietà del lavoro e questione di classe. Ma se nel romanzo precedente l’urgenza di trattare questioni etico-morali prendeva il sopravvento sul testo e sulla letterarietà della storia, qui, al contrario, quest’ultima torna dominante e i sentimenti umani, sempre magistralmente raccontati da Rooney, hanno la meglio sui dibattiti alla moda. I personaggi si muovono certamente in un ambiente connotato, che è quello borghese occidentale e progressista, ma non sono figurine di carta deumanizzate o poco verosimili che impartiscono lezioni moraleggianti, ma piuttosto esistenti che fanno esperienza – o provano a fare esperienza – di questa porzione di mondo.
Sally Rooney, Intermezzo, traduzione di Norman Gobetti, Torino, Einaudi 2024, €22, 432 pp.