La casa editrice Playground compie vent’anni e sceglie di festeggiare ripubblicando due libri. Il secondo sarà una bella sorpresa di dicembre. Il primo, in una traduzione aggiornata di Carlotta Scarlata, è il romanzo d’esordio di Scott Heim, Mysterious skin, uscito per la prima volta in Italia nel 2006 nella collana Liberi e Audaci. L’edizione americana è del 1995. Del 2004 è il film omonimo, per la regia di Gregg Araki. Playground in italiano significa parco giochi, luogo che ha un ruolo centrale in Mysterious skin, ambientato in una provincia americana, la cittadina di Hutchinson e i suoi dintorni, in Kansas, dove l’autore è cresciuto.
Il romanzo è diviso in tre sezioni: Blu, Grigio, Bianco. Il colore schiarisce man mano che i due protagonisti della vicenda, Brian Lackey e Neil McCormick, si riappropriano dei propri ricordi e prendono coscienza dell’esperienza traumatica, di abuso sessuale, che hanno subito da bambini ad opera del loro allenatore Heider, quando giocavano nella squadra di baseball “Le Pantere”. Sono loro a raccontare. Nel romanzo si avvicendano capitoli brevi, in prima persona, in cui si alternano le voci dei due protagonisti, ormai diciottenni, e di tre personaggi a loro vicini, la sorella di Brian e due amici di Neil. Se Heim non insiste in una mimica del linguaggio parlato, cura però all’estremo i punti di vista dei diversi narratori e, in particolar modo, quelli dei due protagonisti, tanto da lasciare spiazzato chi legge. Siamo dentro ai loro pensieri, percepiamo attraverso i loro occhi l’asfittica realtà di provincia che li circonda e ricordiamo con loro un passato distorto dal trauma, in particolare l’anno fatale 1981, su cui si avvita il loro presente.
Brian Lackey non sa nulla di ciò che gli è accaduto. Cinque ore della sua vita sono state inghiottite dalla rimozione. La sua mente infantile ha provato a nasconderle con dei falsi ricordi, ispirati dall’unico motivo di turismo di Hutchinson, il museo spaziale Cosmosphere. Crede di essere stato rapito dagli alieni, per due volte. Questo pensiero lo ossessiona e gli impedisce di diventare adulto e di instaurare relazioni al di fuori della propria famiglia.
Neil McCormick era il preferito dell’allenatore Heider, che fin dal primo rapporto lo paga abituandolo (e normalizzandolo) alla prostituzione del corpo. Arriva al punto di farne il suo complice nell’adescamento di altri bambini. Ed è così che il destino dei due protagonisti si intreccia. Neil ricorda tutto, ma è ancora così immerso nel proprio trauma da non comprenderlo. Usa per l’allenatore parole da innamorato. Quando può, torna davanti alla casa in cui Heider abitava e in un capitolo lo confronta a una figura materna: «Mentre guardavo la finestra, mi resi conto che il pianto veniva dalla camera da letto dell’allenatore. Immaginai una giovane madre in vestaglia che calmava il suo neonato nello stesso mondo quadrato e perfetto dove l’allenatore si era sdraiato sul letto accanto a me» (p. 158). Ora fa lo speaker allo stadio di baseball dove si allenava da piccolo e si prostituisce con uomini di mezza età nel parco giochi di Hutchinson, tendendo «l’arco della coazione a ripetere fino a spezzarlo» (p. 299, postfazione di Sandro Veronesi). Se Brian è introverso e passivo, Neil sembra all’opposto ribelle e capace di difendersi. Ma pian piano questa sua apparenza si sgretola fino a spaccarsi nella casa di uno sconosciuto, nella periferia di New York, dove trova il climax del suo dolore.
Alle voci dei due protagonisti si aggiungono quelle di Deborah Lackey, sorella di Brian e preoccupata spettatrice della solitudine del fratello; e di Wendy Peterson ed Eric Preston, amici di Neil, innamorati di lui, confessori del suo segreto. I diversi punti di vista fanno da specchio gli uni agli altri, scavando nelle diverse personalità in gioco, trasmettendo il senso di solitudine e inermità che tutti i personaggi condividono. Sia Neil che Brian vivono soli con le rispettive madri. La madre di Brian lavora in carcere e tiene sempre con sé una pistola perché teme – paradossalmente – che qualcuno possa fare del male al figlio. La madre di Neil è alcolizzata e passa da un uomo all’altro quasi senza accorgersene. Eric, originario della California, abita dai nonni a seguito della morte dei genitori in un incidente stradale. Wendy, come la sorella di Brian, vuole scappare dalla provincia. Vede in Neil, nel “frocio” ribelle che tutti schivano, un’anima affine e prova a portarlo con sé, a salvarlo.
La provincia è un personaggio a pieno titolo del romanzo. «C’era qualcosa di malsano, e tipico del Midwest, in una rete televisiva che programmava L’esorcista tre giorni prima di Natale», afferma Deborah Lackey, rientrata a casa da San Francisco per le vacanze. Hutchinson è una città immersa nella natura, bella a suo modo e desolata. Quando Neil raggiunge Wendy a New York tutti lo ammoniscono, «Non sei più in Kansas», come se il male non potesse abitare quei luoghi, come se non potesse accadere nulla in un piccolo centro dove tutti si conoscono. Una notte adesca un cliente in un locale pettinato di marchettari, il Rounds. Si tratta di un uomo che porta i segni della malattia e aleggia in lui lo spettro dell’aids. Guardandolo spogliarsi, Neil vede nel suo corpo il riflesso di un paesaggio del Kansas:
«Cercai una parola per descriverlo. “Secco” e “magro” non erano parole adatte. “Emaciato” era quella giusta. Le ginocchia erano delle protuberanze quadrate, che galleggiavano nelle sue gambe. Le costole mi facevano pensare a un tratto di ferrovia abbandonata che, una volta, avevo visto spuntare fuori dalla terra piena di crepe dopo che la piena delle acque del Cottonwood River si era ritirata» (p. 216).
Non a New York, ma ad Hutchinson un uomo dall’aspetto rispettabile, con i baffi biondi, gli occhi blu e un accento tedesco ha ottenuto il facile consenso dai genitori per strappare ai figli l’infanzia. Perché forse la provincia assomiglia a un deserto nel cui vuoto prendono facilmente spazio le ossessioni. E il male in una stanza può accadere anche mentre alla radio danno Wasted Days and Wasted Nights di Freddy Fender. In questo romanzo Heim rappresenta l’irrappresentabile, sceglie di sfondare ogni censura. Siamo nella voce di Neil, vediamo con il suo sguardo di otto anni i giochi perversi dell’allenatore, proviamo gratitudine per le sue attenzioni, vogliamo farlo felice, siamo incapaci di riconoscere la sua crudeltà perché è il primo a mostrarci tenerezza in una città che non sembra conoscerla. Percepiamo il suo amore per noi. Ciò che segue è la faticosa risalita dagli inferi di due bambini costretti ad affrontare il proprio trauma da soli. E chissà se è vero che nessuno si è accorto. In tutto il romanzo è diffuso un senso di resa, a cui Neil e Brian riescono a reagire incontrandosi e prendendosi per mano.
Scott Heim, Mysterious skin, trad. di C. Scarlata, Playground, Roma 2024, pp. 280, €18