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Scatti felini e scazzi felici. Nota su AcroBatiCa di Ezio Sinigaglia

Ancora bisogna congegnare descrizioni effervescenti, furentemente ghiotte, ho ipotizzato (libri maliziosi, narrazioni oltranzistiche), pedinando queste righe sinigagliesche, trasudanti una vitalissima zoologia.


Ezio Sinigaglia, con AcroBatiCa, appena uscito per le edizioni Déclic (il cui provocatorio piano editoriale meriterebbe un discorso più ricco di questa manciata di righe), ha scritto un piccolo capolavoro di scrittura sperimentale dandosi regole strettissime; più precisamente: tre vincoli inderogabili, che sono lo schema generativo di ognuno dei tre racconti di cui si compone la raccolta.

La prima di queste regole consiste nello scrivere un testo in modo che ogni parola inizi con la lettera S (quello che gli addetti ai lavori dei giochi di parole chiamano tautogramma; questo l’incipit: «Sono stanco, sì, stanchissimo. Sfinito, stremato, spossato. Soprattutto, soffro sentendomi sfruttato: senza salario, senza stipendio. Semplicemente schiavo»); la seconda, usando la sua nomenclatura ufficiale, è una alfabetizzazione testuale, ovvero un racconto in cui le parole si snodano in modo che le loro iniziali siano ordinate alfabeticamente, dalla A alla Z; la terza regola, infine, virtuosismo per virtuosismo, è una variante della seconda, per cui le iniziali delle parole, una volta arrivati al punto fermo (o affermativo, o interrogativo) di fine periodo, ricominciano a susseguirsi secondo un ordine inverso, come davanti a uno specchio (ABC/CBA). Qui, gli aficionados della retorica parlerebbero di anadiplosi.

Se questa che ho appena descritto è una sorta di velocissima scheda tecnica di AcroBatiCa, la cosa che bisogna dire immediatamente è che i testi di Sinigaglia sono straordinari e irradiano letteratura da tutti i pori.

Alcune pagine sono perfette, il meccanismo che guida la composizione si intuisce a malapena, o passa inosservato, come nella pagina iniziale del secondo racconto, Incantevole habitat: garantita favolosa esclusiva:

Al bel caporale Demetrio Ercolani fanno gola – hélas – i libidinosi maneggi nell’ombra. Pregustando questi rituali solitari, trova un viottolo zigzagante, appartato, buio come desiderato. Ercolani fantastica già. Ha intenzioni lussuriosissime, mai neppure opinate prima. Questo ribollente sabato toccherà un vertiginoso zenit, ancora brumosamente celato, dell’erotismo faidaté. Gli ha inibito – la maledetta naia – opzioni più qualificate, rispettabili, socialmente tollerate: uri vergini, zelanti ancelle, bistrate cortigiane, dame e fantesche già husbandate. In luoghi meno negletti (ovvero: Palmanova), quantunque recluta, scopava turbinosamente. Un valente zerbinotto, ambìto benché coscritto. Demetrio è femminaro: gestiva harem, in libertà. Ma non ora, purtroppo. Qui, risiedendo sotto tende umide, vede zaini, anfibi, bersaglieri, carrarmati. Donne e fanciulle? Ghosts, here. Invece le mani, nude operaie, presenti quando richiesto, sanno tornare utili.

Da quando il gioco diventa chiaro al lettore (cosa che nel racconto tautogrammatico con il quale si alza il sipario avviene, per esempio, quasi all’istante), prende piede pian piano l’ammirazione per la tenuta narrativa di queste storie, che raggiungono ciascuna la falcata delle ventuno pagine.

Alle descrizioni più lente, come quella dei bollori di Demetrio Ercolani appena citata (o a questa, sveltissima, prelevata a capriccio dal seguito: «Nell’ombra paglierina, quieta, rifulgono sorrisi. Transita un vago Zefiro, ancora»), subentrano i dialoghi, botta e risposta istantanei, funzionali a protrarre ancora per qualche riga la sfida linguistica.

Gli incisi sono particolarmente divertenti, nella loro apparente semplicità (si noti, invece, l’effetto fisarmonica che consegue alla minuziosa cesellatura dell’alfabetizzazione testuale con anadiplosi di cui ho detto sopra):

Davvero esiziali furono gli hamburger, intempestivo lunch mangiucchiato nell’ora precedente. Pranzetto, onestamente, niente male. Ma, nell’ottundimento postprandiale, quel rapinoso sonnellino! Sarà rimasto, quanto?, pochissimo, otto, nove minuti, lì, imbambolato. Il libro (Marketing. Nuovi orientamenti), più quella rivista, sul tavolo, un ventilatore Zephir – ah, beatitudine! – che dall’elica frusciava gentilmente.

Non ho scritto di cosa parla, questo libro di Sinigaglia, e credo che questo sia il punto essenziale: AcroBatiCa è una smaliziata, leggera, divertita ode all’amore omoerotico, vissuto in rapidi turbinii di passione, rubato ai momenti della quotidianità più scontata: furenti assalti sensuali nei cessi universitari, nei gabbiotti dei benzinai, nelle pinete, orgasmi che esplodono in traumi sintattici uno via l’altro («Sgurghi, sgarri, sballi, sballi, su su su, sì sì sì, svelto, svelto, svengo, sì, svengo, sì, sssvengo, sssvengo, sì sì sì! Senza sss, sottilizzo stizzito, senza sss, Simone, stai svenendo senza sss»).

La scelta della tecnica dell’alfabetizzazione testuale spalanca le porte ai forestierismi (nel secondo racconto ogni ventuno parole siamo sicuri di trovarne una che inizia con H: quindi: «hélas», «husbandate», «here», «habitué», «high intensity», «hard games», «hardon»): forestierismi che da qui si espandono come scelta stilistica diffusa e danno alla narrazione un gustoso, colto, ironico tono pseudo-arbasiniano.

Dicevo che il tema è il punto essenziale: in questo libro, infatti, non è il vincolo strettissimo che si è dato l’autore a condizionare la materia della narrazione, al contrario, Sinigaglia si muove con agilità felina su e giù per i temi frequentati nelle altre sue opere, quello che gli sta a cuore arriva dritto al lettore nonostante i (anzi, forse proprio in virtù dei) quasi impossibili inciampi da lui stesso creati alla sua scrittura.

Questo mi permette di ricordare una cosa forse ovvia: alcuni testi à contrainte, come li chiamano gli amanti della letteratura potenziale, alla lunga possono risultare stucchevoli (così il lipogramma, per esempio: un testo scritto scegliendo di non utilizzare mai determinate lettere): pignolerie che non sempre lievitano poeticamente o seducono narrativamente. Ma la letteratura, e più in generale l’arte, si fondano su restrizioni, più o meno dure (e più o meno destramente maneggiate), a partire, per gli italofoni, dall’endecasillabo e dalla rima, sassolini nella scarpa, o meglio granelli di sabbia nella conchiglia, che con la loro continua frizione possono stimolare la biologia dello scrittore verso la creazione di perle verbali, tanto più sorprendenti e illuminanti quanto più legate ad un’umilissima occasione formale, a una precondizione non eludibile.

Sinigaglia pattina, corre, balza, si acquatta, sfreccia con i suoi mille slalom, in estreme peripezie linguistiche parallele a quelle dei corpi ipererotizzati dei suoi personaggi: il tutto con la nonchalance di chi vive nelle storie come nel proprio habitat naturale.


E. Sinigaglia, AcroBatiCa, Perugia, déclic, 2024, 80 pp., € 14.