Quella del remake è un’arte insidiosa. Il nuovo millennio cinematografico ha visto un moltiplicarsi vertiginoso di titoli che riprendono più o meno fedelmente opere del passato. Il più delle volte si tratta di una mera operazione di marketing, dove si cerca un ritorno economico sicuro sfruttando l’entusiasmo – o la nostalgia – di una già esistente fan base. Per loro natura queste operazioni producono film insipidi che deludono gli stessi affezionati, pur portando a casa il botteghino. In alcuni casi nemmeno quello. Poi ci sono i remake d’autore, film che nascono dall’ambizione di un cineasta nel misurarsi con un suo grande mito o un’opera che lo ha segnato per sempre. Recentemente ci sono stati i casi di Guadagnino e della originale rilettura del Suspiria di Dario Argento e, a un livello più colossal, l’opera titanica di Dune di Denis Villeneuve. Certo, il botteghino resta l’obiettivo, ma la volontà del regista nell’intraprendere il progetto è fondamentale. Quando però il film in questione è Nosferatu, parlare di remake è decisamente riduttivo. Il film originale di Murnau non è solo uno dei capolavori della storia del cinema, ma l’opera che ha traghettato un’arte da fiera ambulante verso la sua forma moderna più rispettabile.
Il cinema è un vampiro
Il cinema, per come lo intendiamo ora, si può dire nasca con la famosa ombra del vampiro che si allunga a dismisura sulla parete. Per questo molti sono stati i registi che hanno sentito il richiamo del mostro e si sono provati in un film sul succhiasangue. Werner Herzog nel 1979 scelse il suo attore feticcio Klaus Kinski per un Nosferatu che abbandona le atmosfere espressioniste dell’originale per immergersi nelle vertigini del romanticismo tedesco. C’è poi il Dracula di Francis Ford Coppola, capolavoro degli anni Novanta che riesce a coniugare rispetto per la storia originale e un’invenzione visiva strabordante (dai costumi alla fotografia). I due maestri ci insegnano che il modo di approcciare il mostro più famoso della storia del cinema, che sia nella versione di Murnau o di Stocker, è la scelta netta di una chiave di lettura. Ed è proprio questo l’elemento mancante del nuovo film di Robert Eggers, Nosferatu. Il giovane padre dell’art horror, che ha strabiliato tutti con il folgorante esordio di The Witch nel 2015 e con un accattivante secondo film come The Lighthouse, ha scelto di tornare all’horror, dopo una parentesi tragico/epica poco riuscita (e anche sfortunata visto il periodo di uscita) come The Northman. Benché solo al suo quarto film, Eggers è già un regista con un’enorme fandome di cinefili che attendono i suoi lavori come una boccata di aria fresca, in un periodo in cui gli autori faticano ad emergere. Il suo Nosferatu era quindi l’evento che tutti attendevano in questo inizio 2025.
Lily-Rose Depp è il vero mostro
Il film si apre con una sequenza di forte impatto: Hellen Hutter, la protagonista, sogna il Nosferatu e rivela il suo forte legame psichico con il mostro. Fin da subito si capisce quanto il regista abbia puntato su un’interprete capace di una performance fisica sopra le righe. Il corpo di Lily-Rose Depp è un medium attraversato e sconvolto da forze di altri mondi. La vediamo contorcersi, gemere, ribaltare gli occhi, sbavare e tremare come nel pieno di un sabba. Per tutta la prima parte del film la performance dell’attrice è l’unico vero elemento di novità in una rappresentazione altresì fedele all’originale, in particolare alla versione di Herzog. Il futuro sposo di Hellen è incaricato dalla sua agenzia immobiliare di recarsi nei Carpazi, dal conte Orlok, che intende firmare per l’acquisto di una vecchia proprietà nella cittadina tedesca di Wisborg. Vediamo quindi i due amanti salutarsi, con Hellen molto preoccupata per il futuro sposo, e seguiamo l’uomo nelle sue tappe di avvicinamento alla dimora del conte. Eggers si dimostra in questo frangente molto rispettoso e fine conoscitore dell’opera trattata, decidendo di intervenire autorialmente quasi esclusivamente sull’aspetto fotografico. La palette di colori è alquanto ridotta ma funzionale a immergere lo spettatore in un’atmosfera soffocante e morbosa, filtrata dalla luce lunare. L’assenza però di un vero e proprio cambio di registro in termini di colori – dalle atmosfere di relativa tranquillità iniziali alle atmosfere di terrore che si respirano nei pressi del castello – rende la visione alquanto monotona e prevedibile, se non per alcune sequenze oniriche e la bravura di Lily-Rose Depp, a cui vengono affidati i rari momenti di jump scare. A tratti sembra che Eggers abbia trovato la sua chiave di lettura: trasformare Nosferatu in una storia di stregoneria, in cui il Male è emanazione di una potente volontà femminile. L’interpretazione di Depp è infatti ispirata a quella di Isabelle Adjani nel bellissimo Possession di Andrzej Zulawski: entrambe donne “dannate” che vivono in bilico tra due mondi. La stessa rappresentazione del vampiro – interpretato da Bill Skarsgård, ormai specialista di mostri – si allontana dalla classica figura dinoccolata e smunta per virare verso uno pseudo-Frankenstein, alto di statura e piuttosto fisicato seppur nella sua eterna marcescenza. Vediamo la creatura perlopiù nell’ombra, minacciosa, ma al contempo mai come ora subordinata alla personalità dell’amata Hellen Hutter. Del vampiro resta pressoché la sua ombra, e l’elemento di originalità si arresta a una mera scelta di design. Il problema è che Eggers sembra sempre sul punto di stravolgere la storia e trascinare il pubblico in un incubo inedito, per poi arrestarsi sulla soglia, fin troppo rispettoso del materiale originale. Esemplare in questo senso è il personaggio del professore Von Franz, affidato a un istrione come Defoe (che nel 2000 interpretò il Nosferatu e L’ombra del vampiro). Quello che nelle intenzioni di Eggers dovrebbe essere un inquietante Van Helsing, risulta un personaggio macchiettistico, ben lontano dalla pericolosità che seppe infondergli Anthony Hopkins nel Dracula di Coppola.
A mancare in questo film è dunque una vera audacia, limitata solo a qualche imbellettamento estetico, una cura della confezione che rivela in fondo la mancanza di una netta presa di posizione. Eggers ha provato a sfidare il vampiro, ma si è perso nelle tenebre.