In un panorama editoriale sempre più standardizzato, dominato da formule merceologiche consolidate, la pubblicazione in Italia de L’abolizione delle specie di Dietmar Dath (NERO Editions, traduzione di Paola Del Zoppo) rappresenta un’importante eccezione. Non ci si trova di fronte a un semplice romanzo ma a «un lungo poema in cui c’è molta storia» (così è come lo definisce l’autore nella sezione del sito dedicata all’approfondimento delle tematiche trattate nel testo, cfr. http://www.cyrusgolden.de/index_js.html), un’opera che fonde fantascienza speculativa e riflessioni di filosofia politica, evoluzionismo, matematica e musica.
Esperienza di lettura complessa e a tratti estrema che ricorda i miti o i testi sacri, la prosa di Dath si distingue per una ricchezza stilistica di difficile categorizzazione, che oscilla tra il sublime e il grottesco, tra l’epico e il quotidiano, creando un effetto volutamente straniante che costringe il lettore a un continuo riposizionamento di prospettiva.
La complessità formale non è un mero esercizio di stile, ma riflette la natura polimorfa della narrazione, al centro della quale si colloca un radicale abbandono dell’universalismo antropocentrico. L’orizzonte filosofico nel quale si muove l’autore – di matrice marxista, postumana e decostruttivista – accompagna il lettore in un futuro caratterizzato da una proliferazione di possibilità esistenziali che trascendono le categorie tradizionali di specie e genere.
La trama si sviluppa in un arco temporale di circa 1500 anni, una durata epica dal punto di vista umano ma che è poco più di «un’istantanea» (utilizzando ancora un’espressione dell’autore) se paragonata ai tempi dell’evoluzione biologica. Seguendo un principio strutturale musicale – il testo è diviso in quattro movimenti – il vero focus del romanzo è sfuggente e difficilmente individuabile, quasi a manifestare una comunanza tra struttura e contenuto che fa della mutevolezza la sua unica costante.
Tra cinquecento anni, l’umanità come la conosciamo avrà ceduto il posto a una nuova forma di vita intelligente. Il prologo – un dialogo tra una libellula e una pipistrella – introduce questo mondo radicalmente trasformato, dove gli esseri umani sono diventati una specie obsoleta, mentre una nuova civiltà, i “Gente”, domina il pianeta. I Gente rappresentano il superamento evolutivo dell’umanità, organismi ibridi che fondono caratteristiche umane e animali in un’unica entità fluida e mutevole. La loro società emerge dalle ceneri di quella che sprezzantemente chiamano “l’epoca della Noia”, riferendosi alla civiltà umana, collassata sotto il peso della propria inadeguatezza evolutiva.
In questo nuovo ordine, la rigidità che ha caratterizzato l’evoluzione naturale viene sostituita da una libertà pressoché illimitata di autodeterminazione genetica. La fluidità dei Gente è esemplificata da figure come Cyrus Golden, il creatore di questa nuova specie, che ha vissuto parte della sua esistenza come leone e che – dopo una serie di incidenti diplomatici e investigazioni – si scoprirà essere stato un essere umano; o sua moglie Dama Livienda, temporaneamente trasformata in uno sciame di api. In questa società chiunque ha la libera scelta di alterare il proprio corpo, il proprio genere, perfino la propria specie. Questa rivoluzione biologica si manifesta anche attraverso forme di comunicazione radicalmente nuove che l’autore descrive con una serie di neologismi: i Gente hanno sviluppato un sistema di comunicazione “ferinfonico” basato su fragranze olfattive e sulla telepatia, creando nuove modalità di interazione sociale.
Lungi dall’applicare caratteristiche antropomorfe agli animali, Dath si dedica piuttosto a un’attenta osservazione della natura stessa dell’intelligenza animale, mettendo in discussione la presunta superiorità umana:
Gli animali mostrano spesso una forma di intelligenza che deriva direttamente dalla mancanza di libertà di non poter veramente pensare. Hanno una nonchalance nell’uccidere, un carisma nel vagabondare […]. Le società umane, al contrario, mostrano in modo simmetricamente opposto una particolare forma di stupidità che deriva dalla capacità di pensare: poiché tutti possono immaginare quali conseguenze potrebbe avere il loro agire, poiché tutti hanno paura di essere puniti se si ribellano, stanno fermi. […] Ciò che ho fatto con gli animali pensanti nel mio libro funziona diversamente: come sarebbe se si potesse sperimentare molto consapevolmente un calcolo costi-benefici non sentimentale […]? Quindi istinto, ma come risultato vettoriale di un processo di pensiero; istinto di secondo ordine. Questa è la caratteristica predominante dei miei animali dotati di linguaggio ed è abbastanza vicina a ciò che Nietzsche immaginava con il suo “superuomo” così infelicemente denominato. (http://www.cyrusgolden.de/index_js.html)
La nuova forma di intelligenza dei Gente rappresenta quindi non tanto un ritorno alla natura quanto un suo superamento dialettico, nel quale la capacità di pensiero si fonde con la libertà d’azione in una nuova sintesi evolutiva. Nel corso della narrazione, in un contesto apparentemente utopico e all’apice dello sviluppo tecno-evolutivo, una nuova forma di vita post-biologica ancora più avanzata, i Ceramici, costringono i Gente a una diaspora spaziale verso Marte e Venere. Questa migrazione forzata diventa l’occasione per esplorare diverse possibili evoluzioni sociali e biologiche, alcune tendenti a un ritorno regressivo verso forme umane primitive, altre proiettate verso nuove forme di organizzazione sociale. Sono numerosissimi i personaggi di cui seguiamo le vicende: lo scienziato-cigno, la volpe-finanziere, il lupo-guerriero.
I personaggi di Dath rifuggono ogni categorizzazione e non rappresentano tanto una nuova specie, quanto un nuovo modo di concepire l’esistenza stessa. Particolarmente significativa in questo contesto è Cordula Späth, compositrice immortale che accompagna l’intera narrazione, simboleggiando la persistenza dell’arte come elemento di continuità in un mondo in perpetuo mutamento. Come nota Paola Del Zoppo nella postfazione, Cordula esprime «il messaggio più nucleare del romanzo, nella sua universale enigmaticità, nel momento in cui le viene chiesto di esprimere i suoi progetti» (p. 486). L’idea più ambiziosa per cambiare e mostrare al mondo ciò che non ha ancora visto è quello di essere «Un’umana libera» (p. 451).
L’originalità del pensiero di Dath si incarna in questa figura e nella sua capacità di articolare una critica radicale del presente che non si limita alla sua negazione, ma propone nuove possibilità di pensiero e azione. L’autore fornisce così – ancora una volta in maniera enigmatica – la sua visione del postumanesimo che si distingue per un doppio rifiuto; sia dell’ottimismo tecnologico acritico sia del pessimismo distopico, proponendo invece una prospettiva che vede nella razionalità scientifica, quando unita alla consapevolezza politica e alla creatività artistica, un potenziale strumento di emancipazione. Per quanto diversi e imparagonabili agli umani, i Gente (ignari dell’origine umana della propria versatilità genetica) manifestano sin dalle prime pagine del racconto un’intrinseca natura sensibile, corporea, desiderante: «la bellezza provocava in coloro che adesso, dopo gli umani, popolavano la Terra, proprio le stesse sensazioni e agitazioni fiorite flaccide e cosmiche che provocavano negli umani. C’era l’ebbrezza della creazione, lo sforzo di raggiungere ciò che si può realizzare, l’ammirazione, la pretesa, la pulsione del possesso di un tesoro, persino il desiderio del suo annullamento (perché i valori stessi avevano un campo magnetico intorno a sé che attirava anche la distruzione)» (p. 12). Il racconto diventa così una riflessione sul potenziale rivoluzionario (e quindi intrinsecamente e contemporaneamente costruttivo e distruttivo) della scienza quando si unisce alla politica e, soprattutto, all’arte.
L’abolizione delle specie è un’opera complessa che rifiuta i semplicismi e richiede un lettore disposto a mettere in discussione le proprie categorie interpretative, ma ripaga questo sforzo con una visione radicalmente nuova rispetto a ciò che consideriamo natura e ciò che consideriamo cultura risignificando l’artificiale come una commistione tra ragione e arte.
Immagine di copertina: collage di Enrico Varricchio (instagram: enrmet).
Dietmar Dath, L’abolizione delle specie, traduzione di Paola Del Zoppo, Nero Editions, Roma, 2024, € 32, 500 pp.