Alla Berlinale 2025 l’Italia è presente con una sola opera, ma preziosa. Si tratta di Canone effimero, documentario di Gianluca e Massimiliano De Serio, fratelli con all’attivo numerosi documentari e, più di recente, autori del film Spaccapietre, pellicola che ha come protagonista un bracciante e un mondo di sfruttamento che rimane sconosciuto ai più. Anche nel caso di Canone effimero a essere svelata è una realtà poco nota, quella delle tradizioni musicali e dell’arte popolare regionale, che si tramanda in luoghi fuori dalle rotte turistiche.

Attraverso uno stile essenziale, fatto di lunghi piani sequenza e un profondo rispetto per il materiale trattato, I fratelli De Serio intessono un arazzo di immagini e suoni raccolti da paesi di montagna, borghi, luoghi dell’entroterra che si rivelano scrigni di un’arte che resiste a ogni tentativo di omologazione. Le interviste di artisti locali, liutai e custodi di canti tramandati da generazioni, rivelano un’Italia altra, la cui poesia ha attraversato i secoli protetta dalle montagne e nascosta sotto la neve. Canone effimero è un progetto musicale etnologico che non ha intenti enciclopedici e nemmeno di registrazione di un fenomeno in via di estinzione, bensì invita a esplorare lo strato più profondo e vivo del nostro patrimonio culturale, fatto di artigianato, memoria e di lingue musicali che compongono un magma sonoro e visivo.

“L’Italia non esiste” afferma Gianluca De Serio a fine proiezione, intendendo che ne esistono molteplici, che concorrono a comporre un mosaico culturale fondamentale non solo per comprendere il passato, ma anche per immaginare il nostro futuro. Il documentario è girato in 4:3, per dare lo stesso peso e valore a volti e paesaggi, ma anche per ricordare le foto di piccolo formato, quelle che spesso si ritrovano nelle scatole in soffitta. Per la sua ricerca di storie tratte da un paesaggio italiano meno battuto, Canone effimero si avvicina a Chimera di Alice Rohrwacher e Vermiglio di Maura Delpero e ha le sue radici poetiche in Pier Paolo Pasolini (citato nei titoli di testa).

Al termine della proiezione della premiere abbiamo avuto modo di scambiare due parole con uno dei registi, Massimiliano De Serio.

Come sta andando la tua Berlinale?

Molto bene, è la prima volta che un nostro film viene selezionato alla Berlinale. Sarà forse la sua natura di festival urbano, con le proiezioni dislocate in giro per la città, ma c’è un’accoglienza sentita, le persone reagiscono al film, sono curiose e anche sincere: se il film non ti piace te lo fanno sapere.

Vero, questo è del resto un festival molto politico.

Sono d’accordo, e si avverte un’attenzione a certi temi. Al comitato della sezione Forum che ha selezionato il nostro film l’opera è piaciuta molto e, quando ci hanno contattato, abbiamo pensato che la Berlinale fosse in effetti il posto ideale per raccontare la nostra storia.

Canone effimero è un documentario, ma in precedenza avete realizzato anche opere di finzione come Spaccapietre, film sui braccianti del sud Italia, la loro condizione di ultimi e dimenticati. In un certo senso anche in quel caso, come in Canone effimero, parlavate di un’Italia altra, non conosciuta.

Mi fa piacere che tu abbia colto questa vicinanza con Spaccapietre, che sembra all’apparenza lontano da Canone effimero, perché si trattava di un film di finzione, ma al contempo si basa su fatti reali, in quanto ispirato a nostra nonna, che negli anni Cinquanta morì di lavoro nei campi. Questo film, come nel caso di Spaccapietre, ha un contenuto politico: per resistere all’omologazione culturale oggi ci sono sacche di resistenza ovunque e noi ne abbiamo sfiorate solo alcune.

Sì, ho apprezzato molto questo aspetto di resistenza all’omologazione. L’Italia che mostrate sembra molto più grande di quella che conosciamo.

Sì, anche per questo abbiamo deciso di girare in inverno, evitando le coste, ma raccontando un meno noto entroterra. Per noi questo è un film di speranza e di luce, dove il ricordo non è soltanto il rimpianto di ciò che è scomparso, bensì un’azione verso il futuro. È di certo un film anti-reazionario.

Nel film ad ogni capitolo compaiono dei titoli evocativi come, per citarne alcuni, “Imita le sfere celesti”, “Raccogli le forze”, “Affronta la paura”. Come li avete scelti?

Ci sono stati dei dibattiti lunghissimi su cosa esattamente scrivere, ma i contenuti erano lampanti e abbastanza immediati, quindi, in fase di montaggio, ci è venuto quasi naturale dividerli con quei capitoli. Volevamo sintetizzare in un frase quello che le storie ci stavano già restituendo. La scelta quindi è stata letteraria, lirica e l’abbiamo presa di concerto con Gianluca e la montatrice, che è mia moglie.

Dove vedete questo film proiettato in futuro?

Dipende da molti fattori. Uno di questi sarà il tipo di distribuzione, però siamo sicuri che troverà il suo posto perché è un film che parla a diverse Italie a diverse comunità, diverse culture. Nello stesso tempo parla della vita, di generazioni a confronto, di famiglie, e l’essere stati selezionati per la Berlinale e in altri festival ci fa ben sperare per la strada che potrà fare quest’opera.

All’inizio del vostro film citate Pasolini, che, come nel vostro lavoro, era il cantore di un’Italia umile ma non meno ricca, di certo non omologata. Per quanto riguarda i documentaristi a chi vi ispirate invece?

Di certo Alain Cavalier è stato una nostra guida, perché io e Gianluca lo abbiamo sempre amato, e ci è stato molto utile per scegliere il modo in cui intervistare le persone. Diciamo che tutti i grandi documentaristi che si sono dedicati a tematiche affini e con un tasso di letterarietà sono stati di ispirazione perlomeno implicita.

Nell’ultimo capitolo ci sono nove minuti in cui un uomo declama a memoria dei versi sul Purgatorio. La particolarità di questo film è, a mio avviso, quella di poter essere fruito a occhi chiusi, in ascolto solo delle parole che diventanto quasi litania.

Sì, alla fine chiudendo gli occhi si riattivano vecchie immagini, ricordi, oppure se ne creano di nuovi. Quindi si crea una memoria. Nei nostri lavori cerchiamo sempre di restituire una narrazione in bilico tra realtà e immaginazione.

Quale sarà il vosto prossimo progetto?

Abbiamo da tempo in lavorazione un film di finzione ambientato negli anni Trenta/Quaranta durante il colonialismo, e abbiamo due o tre idee di documentari che stiamo sviluppando, ma è ancora presto, perché io e mio fratello non siamo molto d’accordo (ride, ndr), io vorrei trattare certi temi, lui altri ancora.