Unreel inizia in negativo. Il reale è prima sbobinato nelle sue componenti essenziali – luce, radiazione, onda – e poi compresso più e più violentemente – 24, 12, 3 megabyte – fino a dissiparne del tutto l’energia e lasciarlo in uno stato di usura, una perdita di informazione a livello ormai rovinante. Il campo mediatico si svuota e non ne resta che la risoluzione: 1080×1920, il recinto verticale di un video su TikTok o una storia di Instagram.
È solo dopo questo atto di decreazione che Giuseppe Nava inizia a generare significato. Il primo “vero e proprio” testo di Unreel è allora una Creazione di Adamo, solipsistica: una mano disincarnata si tocca le altre dita col pollice, in una sequenza precisa e rituale. Un altro mondo può avere inizio.
Unreel, edito da Zacinto Edizioni nella collana Manufatti poetici, è una breve raccolta di una trentina di pagine, con tredici testi, di cui tre brevissimi con funzione di apparato o introduttiva, e dieci prose descrittive tra le due righe scarse e le due pagine abbondanti a formare il corpo dell’opera. Il modus operandi è semplice: un occhio attento e imparziale vede e registra, senza psicologia o morale; brevi scene gli si dipanano davanti, tematicamente, in ordine non chiaramente umano o algoritmico. In questo, richiama molta uncreative writing transatlantica, in primis forse le pagine (rosa) di trascrizioni di reality TV di Kate Durbin (E! Entertainment, 2014) o l’accumulazione di materiali e newsfeed relativi alla morte di Heath Ledger di Tan Lin (HEATH (plagiarism/outsource), 2009, e Heath Course Pak, 2012): evoluzioni o perversioni della poesia documentaria statunitense di metà Novecento (un riferimento non casuale: l’autore ha tradotto Reznikoff) in cui l’oggetto della documentazione ha meno importanza della devozione pura al concetto di documento. Ma Unreel è anche un proseguimento naturale delle tendenze (post)concettuali già esplorate da Nava con successo ne Le attese (2021), dove testi quali i diari di Cristoforo Colombo, le normative europee per i trasporti e le ultime dichiarazioni di condannati a morte vengono riciclati e ricontestualizzati per «srotolare di corda tra le dita | contare i nodi, osservare con cura i segni» sia dei contenuti sia della forma stessa della lirica (versi che dalla sezione “rodrigo de triana” de Le Attese già anticipano il titolo e gli intenti di Unreel).
Ma se nei lavori americani citati, e nei classici del concettualismo, l’operazione ha senso in quanto totalizzante, portata alla propria conseguenza estrema, la poetica di Giuseppe Nava arriva dopo almeno un decennio di media iperattivi mitragliati a un pubblico sempre più a suo agio in un deficit dell’attenzione globale, un nuovo mondo di all-at-onceness, dove, per citare il preveggente Marshall McLuhan, «il tempo è cessato, lo spazio svanito […] Il nostro mondo, elettricamente configurato, ci ha costretti a passare dall’abitudine della classificazione dei dati alla modalità del riconoscimento di pattern» (The Medium Is the Massage, 1967). Insomma, l’operazione di documentazione non ha più forza di concentrarsi su singoli eventi scelti con cura per l’importanza storica o culturale. Alla scelta arbitraria del documentato, Unreel aggiunge allora anche il ridimensionamento, con un formato fin troppo breve che imita quello dei reel, in cui la soddisfazione non è data dal trattamento esaustivo di un’idea ma dal concatenarsi di tanti spuntini superficiali, bite-sized. Questi reperti mediatici si susseguono e sovrappongono incessantemente, e una trascrizione stenografica li raggruppa in base a piccole caratteristiche chiave come l’ambientazione o due oggetti in qualche senso analoghi.
A questo riguardo, piuttosto che col massimalismo-nel-minimalismo della scrittura concettuale, Unreel ha più in comune con tanta musica glitch “un po’ riduzionista un po’ isolazionista”, frustrante per ontologia: tipo 20′ to 2000.March / 99 (1999) di Ryoji Ikeda, 99 variazioni su una sinusoide di 440Hz (la frequenza base dello standard ISO16) per un totale di soli 20 minuti, o la miniatura pixellata di Most Beautiful Design (2018) del nostrano Bienoise, pubblicato su floppy disk riducendo il più possibile la risoluzione dei file mp3 fino a renderli irreparabilmente lossy. Quando restano solo «lo sfarfallio e la sfocatura degli oggetti», ne facciamo tesoro per costruire il nostro significato a partire dal fantasma, e dagli artefatti che lo circondano.
Spostiamoci quindi un attimo dall’altro lato dello schermo. In modo non dissimile dallo scrittore e dall’algoritmo, il lettore accomuna frasi e significati partendo dal presupposto della coerenza del messaggio. Che lo voglia o no, il lettore dà significato a un testo e, se il messaggio risulta rumoroso o lacunoso, tappa i buchi con l’analogia. La genericità spaesante delle descrizioni gli fa da spalla: «Una figura seduta», «Dal nulla un tizio arriva», «Potrebbe essere una cava, o un cantiere». Si apre un mondo di possibilità in cui ogni lettura deve necessariamente essere diversa, connettendo i frammenti in base alla propria personale intuizione.
Questa ricomposizione è inerentemente creativa, non meramente produttiva. Il linguaggio smette di essere uno strumento composizionale per prescrivere e installare qualcosa nella testa di coloro che lo recepiscono, non conquista terreno, ma fa spazio affinché una nuova flora possa sbocciare indipendentemente. Per dirla con John Cage, «quando rendiamo il linguaggio incomprensibile, lo stiamo demilitarizzando, per poter continuare a vivere» (intervista radiofonica dell’8 agosto 1974). Le poesie in Unreel sono dimostrazione che la bobina può essere ricomposta a partire da frammenti spuri di pellicola, consegnati dall’alto da un emittente che non si fa problemi a violare le leggi e obiettivi della pragmatica; assieme al significato si forma dunque una narrativa. Nascono film d’azione con protagonisti un telefono distrutto e un cesso chimico, paesaggi quasi vaporwave popolati da acqua limpidissima, turbati solo in finale da pesci sventrati, cataloghi di animali tropicali in vari stati di attacco.
Ma se Cage prosegue la sua decostruzione linguistica dal livello del testo, alla frase, fino alla parola scomposta in grafemi apolidi, qui la demilitarizzazione è solo parziale; se Lin, nella sua testualità ambient, «impedisce che la violenza venga registrata» (intervista con Bomb Magazine del 29 marzo 2010) usandola piuttosto come un meta-sistema simbolico di riferimento, Unreel ci si scaglia contro, a forza. L’attribuzione di senso dal lettore non è del tutto libera: sotto alla superficie dell’acqua – non più cristallina ma «scura, grigia e sporca» – si cela qualcosa che non riusciamo a vedere, creare o comprendere appieno. Se una distribuzione totalmente casuale del contenuto, insomma un algoritmo non ottimizzato sul e per il feedback dell’utente, avrebbe potuto mostrarci tutorial di make-up, video buffi e teneri di gatti e altri cuccioli, o pubblicità (il livello zero della semantica), le scene di Unreel ammassano vari gradi di violenza effettiva o potenziale, sensazioni di pericolo imminente e immagini che suggeriscono un contesto post-apocalittico. Ci immedesimiamo, a occhi rossi sbarrati sullo schermo, fino a quando «Si sente gridare, la camera inquadra il terreno, poi più nulla».
La demilitarizzazione è un fallimento tale da causare addirittura un rinculo nella pagina finale, dove il linguaggio scivola quasi nell’esortativo. La soglia che oltrepassiamo è un’uscita – dallo schermo, forse, o dal mondo globale simultaneo – e con la poca curiosità creativa che resta, «usciamo a vedere cosa c’è fuori».
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Giuseppe Nava, Unreel, Zacinto Edizioni, Milano 2024, 36 pp., € 10.
Riferimenti delle opere citate
Bienoise, Most Beautiful Design, Mille Plateaux, 2018.
John Cage, intervista radio dell’8 agosto 1974. Disponibile al link www.writing.upenn.edu/~afilreis/88v/cage-radio.html (consultato il 10 gennaio 2025).
Kate Durbin, E! Entertainment, Wonder Press, 2014.
RyojiIkeda, 20′ to 2000.March / 99 (1999) :: Variations for Modulated 440Hz Sinewaves ::, Noton, 1999.
TanLin, HEATH (plagiarism/outsource), Zasterle Press, 2009.
Tan Lin, Heath Course Pak, Counterpath Press, 2012.
Tan Lin, intervista con Bomb Magazine, 29 marzo 2010. Disponibile al link bombmagazine.org/articles/2010/03/29/tan-lin (consultato il 10 gennaio 2025).
Marshall McLuhan e Quentin Fiore, The Medium Is the Massage. An Inventory of Effects, Gingko Press, 1967.
Giuseppe Nava, Testimony. The United States (1885-1915): Recitative di Charles Reznikoff, traduzione e cura, Nazione Indiana, 2019. Disponibile al link http://www.nazioneindiana.com/2019/10/03/testimony-the-united-states-1885-1915-recitative (consultato il 10 gennaio 2025).
Giuseppe Nava, Le attese, Vidya Editore, 2021.