È un romanzo duro, tagliente, Il male che non c’è, ultima fatica editoriale di Giulia Caminito. Già vincitrice nel 2021 del Premio Campiello con un’opera altrettanto graffiante e complessa, L’acqua del lago non è mai dolce, l’autrice si rivela ancora una volta un’attenta ma spietata osservatrice della società contemporanea e dei meccanismi nascosti e perversi che silenziosamente la attraversano.
La resa grafica del titolo è eloquente: quel non in stampato minuscolo circondato da caratteri maiuscoli e in grassetto è la chiave di lettura di un romanzo che si legge con un senso perenne di apprensione, quasi di fastidio. Eppure, la storia si insinua nella mente del lettore, è magnetica, attrae come tutto ciò che genera paura. Quel male che non c’è è un qualcosa di invisibile, di non palpabile, irrilevabile dai medici e dai complessi macchinari degli ospedali. Poiché non misurabile, non esiste, i dottori più attenti lo etichettano con un generico e sbrigativo stato di ansia e di stress. La cura è sempre la stessa: stare tranquilli perché non c’è niente di cui preoccuparsi.
Parole che suonano canzonatorie, dolorose, quasi umilianti per Loris, il protagonista, prigioniero, appunto, di un malessere vorace e sotterraneo che lo dilania giorno dopo giorno nell’indifferenza della maggior parte delle persone che lo circondano. Difficile provare simpatia per lui, che potrebbe essere tranquillamente uno dei tanti vinti delle opere di Giovanni Verga, i quali quotidianamente lottano con i propri mezzi per non farsi annientare da una società che di fatto li respinge. Inetto del presente, Loris pare non avere le armi per stare al passo con i tempi. È un trentenne, età per la quale, in base ai dettami comuni, si è nel fiore delle proprie forze. Le energie per aggredire la vita e ritagliarsi un posto nel mondo dovrebbero essere tante, eppure Loris non le ha. È un germoglio appassito, una potenzialità inespressa. Giudica ferocemente e altrettanto ferocemente viene giudicato da coloro che gli stanno intorno. Unico rifugio il web, la rete con le sue infinite storie di dolore o di esibito entusiasmo, sbandierate per essere date in pasto agli avidi lettori.
E con la lettura Loris ha sempre avuto dei problemi, fin da bambino erano i romanzi a calmare la sua ansia. I libri gli venivano forniti con cautela perché in essi sfogava la sua angoscia, capace di leggerne diversi in un solo giorno. E col tempo i libri sono diventati anche il suo lavoro, se così può essere definito un impiego in una casa editrice che, in costante lotta con il proprio bilancio, ha individuato nei tagli e nello sfruttamento del personale l’unica possibilità di sopravvivenza. Nonostante la sua dedizione e la sua conoscenza, Loris, però, pare condannato a un precariato eterno che mina ogni forma di stabilità e lo divora silenziosamente, costringendolo, ormai adulto, a dipendere ancora economicamente dai genitori. Il protagonista si dimena per non affogare nella giungla degli stage e dei contratti a termine, ma lo scontro è impari, il più debole soccombe. Loris affonda ma cerca di non farlo silenziosamente, lottando per rimanere a galla. Le sue grida, però, risuonano incomprensibili e fastidiose per chi gli sta attorno. I legami e le relazioni si affievoliscono fino a diventare lontani ricordi di quello che erano. Impossibile per lui tenere il passo con la storica fidanzata, Jo, ormai una meteora nella sua esistenza alimentata da inquietudine, ipocondria e pensieri che ne hanno modificato anche il corpo, ora flaccido e molle. Jo, invece, alla vita ha reagito, come una creatura futurista, animata da un dinamismo e da una vitalità che l’hanno resa particolarmente idonea e adatta a resistere alle sfide del mondo circostante.
In maniera ostentata e provocatoria Loris simula disprezzo verso la ragazza, che si nutre di quella che lui definisce la grande economia globale del fitness. Jo si allena, corre, fa yoga, ha un lavoro vero, amici con cui trascorrere le serate o andare in montagna. Totalmente inutili i suoi tentativi di coinvolgere il fidanzato nella sua nuova esistenza, la voglia comune di avventura si è spenta per il più fragile della coppia, troppo impegnato a dare ascolto ai segnali di malessere del suo organismo. Loris usa l’astuzia per ottenere i suoi obiettivi, chiederà, seppur mentendo, proprio a Jo i soldi per ottenere privatamente la colonscopia che si è auto-prescritto. In quell’esame si convince siano contenute le risposte a tutti i suoi malanni.
Ma quel costante mal di stomaco, perpetuo compagno di viaggio, non gli dà tregua. Vane le fughe dal lavoro o le interminabili code in pronto soccorso, nessuno vede quel male misterioso che lo scava giorno dopo giorno. E allora non resta altro tentativo che inabissarsi nella rete, dove la sua bulimica ansia viene nutrita e insieme lenita. Con la stessa voracità con cui divorava i libri, ora Loris divora i social alla ricerca di racconti che possano confortarlo. C’è qualcuno capace di capirlo in rete, qualcuno che ha passato il suo stesso calvario. Solo nel web trova quelle risposte e quell’attenzione che la realtà gli nega. Il sottoporsi continuo e ansioso ad esami e controlli è l’unico sollievo, studi medici e ospedali i soli luoghi in cui poter vivere qualche momento di pace.
L’umiliante ritorno nella casa dei genitori e l’abbandono dell’inospitale appartamento a Roma, il cui affitto veniva puntualmente pagato dal padre, sono insieme il punto più basso ma anche l’unica speranza di una rinascita. I genitori non comprendono il malessere del figlio, lo scontro generazionale, problema atavico che accompagna e accomuna le varie epoche storiche, appare insanabile. Irrealizzabile inizialmente l’incontro con Sandro, il padre, che non perde occasione per ribadire al figlio i suoi sacrifici e tutti i traguardi raggiunti ben prima di avere l’età di Loris. Svilire e minimizzare i problemi del figlio, senza neppure fingere di nascondere il biasimo per la serie di insuccessi inanellati, innalzano un muro fatto di silenzi, sospiri, dialoghi mancati, risposte taglienti. Escluse la cattiva volontà o lo scarso affetto, resta l’impossibilità di mostrare ai genitori le ferite e le cicatrici di una generazione a cui il facile accesso a beni materiali sicuri non ha molcito la sofferenza e l’incapacità di adattarsi a un mondo spesso troppo competitivo e precario, dove il mostrarsi deboli e fragili non porta like e non genera interesse.
Eppure, in un passato a tratti mitizzato, Loris era riuscito a essere sereno e a ritagliarsi degli spazi di tranquillità. Era accaduto quando al suo fianco c’era Tempesta, l’energico nonno con un passato avventuroso in Africa, miniera inestinguibile di storie e idee. Nella casa di campagna di Tempesta, alle porte della capitale, dove Loris da bambino aveva trascorso buona parte delle sue giornate, si era sentito accolto e compreso, a differenza di quanto capitava a Sandro, che col padre aveva avuto a sua volta un rapporto combattuto. Eterna maledizione che si tramanda di generazione in generazione. Insieme a Tempesta Loris era felice, si era dimostrato un fidato compagno di avventure e imprese che spesso non condivideva con i propri genitori, presi da altre faccende. La campagna brulicava di vita e animali, un universo da scoprire, in cui la costruzione di una semplice voliera per colombi diventava un evento che riempiva le giornate di meraviglia e novità. Ed è proprio dal ritorno in quella casa che sembra poter partire la rinascita di Loris, in un ultimo disperato tentativo di Sandro di far riaffacciare il figlio alla vita. Catastrofe, la creatura immaginaria e multiforme che accompagna e contribuisce ad affondare il protagonista, moltiplicandone le ansie e le paure, viene messa da parte, una timida speranza si affaccia all’orizzonte.
Il lieto fine è assente e sarebbe stato inutile e stonato per Il male che non c’è, romanzo abrasivo, che testimonia ancora una volta l’innegabile capacità di Caminito di sviscerare le storture e i contrasti della società contemporanea attraverso una prosa essenziale ed incisiva che si insinua tra i due piani temporali del testo, passato e presente, con uso sapiente e non stucchevole del discorso indiretto libero. Dialoghi, pensieri e riflessioni scivolano nella prosa ad aumentare il coinvolgimento emotivo del lettore che, tuttavia, fatica ad empatizzare con la ruvidità del protagonista.
G. Caminito, Il male che non c’è, Milano, Bompiani, 2024, 269 pp., € 18.