Ma anche i nostri genitori sono stati giovani? Hanno fatto tardi la sera, perché ancora i figli erano pura, fantasiosa immaginazione? Hanno bevuto, hanno ballato a un concerto? La risposta è scontata, ma come si fa a non avere un disegno poco più che sfocato, quando va bene, della loro giovinezza? Voi sapreste dire com’era la loro vita prima che diventassero madre e padre, prima che venisse loro affibbiato quel ruolo, quando ancora erano, invece, soltanto dei giovani qualunque, più o meno spensierati? Quali sogni avevano? Di cosa avevano paura?
Andrés Felipe Solano, scrittore colombiano, sceglie un giorno preciso da cui partire, l’11 aprile 1970, il giorno del lancio dell’Apollo 13, il giorno del concerto del cantante argentino Sandro al Madison Square Garden di New York. Il giorno in cui sua madre, Gloria, è diventata adulta. Sceglie un giorno, e a partire da quel giorno soltanto, si pone una sfida, eccitante quanto insidiosa: raccontare tutta la vita di una donna.
Insomma, raccontare… Anche Solano lo ammette: «Ora, ipotizziamo, perché di questo si tratta, di ipotesi». Più che altro, quindi, la immagina. Qualche tessera gliela concede lei, con degli aneddoti accennati tra un ciclo e l’altro di lavaggio e tra un ciclo e l’altro di asciugatura in una lavanderia a gettoni del New Jersey. Lui comincia dai bordi, allora, ché questi soltanto gli ha dato la madre, e, poi, piano piano, costruisce il puzzle di Gloria accentrandosi nell’immagine, pezzo dopo pezzo, dando vita a figure sempre più nitide, e arrivando infine al nucleo della vita, quello che, senza il minimo bisogno di analisi di sorta, racconta tutto. Passato, presente, e futuro.
11 aprile 1970, caffè La Mallorquina, New York. Il Tigre è in ritardo, un ritardo che non possono permettersi. Gloria è qui che l’aspetta, trepidante, i nervi a fior di pelle. Ha in mente l’itinerario per raggiungere il Madison Square Garden per filo e per segno, e non hanno quasi più nessun margine; se il Tigre non arriva faranno tardi al concerto. È il suo fidanzato. Il primo e unico? No, è solo uno dei suoi futuri possibili.
Gloria è colombiana, e sta a New York da qualche tempo ormai. Adora questa città, adora quello che, senza chiederglielo, le può permettere. Abita nel distretto del Queens, e lavora come operaia in un laboratorio fotografico. «La parola povertà non le passa nemmeno per la testa. Sarà che tutto è un’avventura e New York non l’ha ancora travolta. Non ancora». Solano, cioè chi ci racconta la storia, in attesa – anche lui, e noi, oltre a Gloria – del Tigre, immagina cosa potesse immaginare sua madre. Lui sa solo che era lì ad aspettare il suo fidanzato. E immagina che Gloria ripensi a suo padre, assassinato quando lei aveva appena tre anni. Ed è possibile che ne sentisse la mancanza? «Sì, è possibile. A volte un futuro che non ha mai preso forma pesa più di qualsiasi passato». È già arrivato al nucleo, e stiamo, ancora, soltanto aspettando il Tigre.
Poi quello arriva, lei ha poca voglia di sentire scuse, e non c’è tempo, bisogna andare a prendere la metro. I due si incontrano con un’altra coppia, Carlota e il Torero, l’unico non colombiano del gruppo. Arrivano al Madison, fanno la fila ed entrano. È fatta! Gloria tira un sospiro di sollievo e scioglie la tensione che l’ha attanagliata per tutto il giorno.
Ogni tanto Solano ci riporta al SuperWash, la lavanderia a gettoni dove, prima di spiegarlo a noi, sta conoscendo sua madre. Anche lui vive a New York, ma non negli anni Settanta, lì ancora non c’è, c’è solo una ragazza che per ora è chiamata solo Gloria. Vive qui negli anni Novanta, prima di tornare in Colombia, e poi ancora nella Grande Mela a far visita a una donna che nel frattempo è diventata sua madre, ora lei si chiama così, e lui la accompagna a fare il bucato, due volte a settimana: quello che è diventato un po’ il loro confessionale. Lui le chiede di tornare in Sudamerica, a New York non ha più nulla da fare, da sperare, da sognare, ormai, ma lei non cede: «Con frasi evasive, con scuse. Voglio passare un’altra estate a New York. Una e basta. E gli ubriaconi? […] E la solitudine? Se c’è libertà non c’è abbandono, se c’è libertà la solitudine assoluta non esiste, se c’è libertà la barca senza equipaggio oscilla al ritmo del mare, mi dice con i suoi occhi scintillanti».
Il concerto è un successo, turbine di emozioni dense che li travolge come una marea. Ma come una marea che si ritira, lascia secche inaridite che scoperchiano i rifiuti prima inghiottiti dall’acqua, così anche Gloria è prosciugata e smarrita. Ma davvero il Tigre piangeva sotto il palco? Lui negherà e si incazzerà anche, e dopo una cena consumata in fretta, tra una nebbia di discordia e aneddoti quanto mai personali, i quattro ragazzi si spostano nell’appartamento del Torero, nel Queens. Il Tigre fa una deviazione per prendere in prestito un giradischi, li raggiungerà dopo, dice. Gli altri tre lo aspettano a casa, comodi, sorseggiando rhum e Coca. Ma Gloria continua a dibattersi su quelle lacrime: «È sicura di quanto ha visto e tanto le basta per credere in ciò che verrà. Anche se si frequentano da un paio di mesi, è solo da cinquanta minuti che lo sente nelle ossa. O così si dice, forse perché pensa che non vedrà mai più un uomo piangere in quel modo, sconsolato, bello nella sua fragilità. Si sbaglia».
Intanto al SuperWash Gloria chiede una sigaretta al figlio, ma sei sicura?, ma sì, passamela, e Solano capisce che lei ha fumato per tutta la vita, senza fumare, così come è stata tante altre cose, tutte quelle che si possono sognare, senza esserlo mai. E ora che ha sessant’anni dovrebbe proprio tornare in Colombia, a New York non c’è più un futuro possibile. Ma «c’è qualcosa in quel posto che la attira con forza […]. Potrebbe essere il modo in cui lì sperimenta la solitudine. Sì, forse è questo, un paese costruito su milioni di solitudini dove la sua sarebbe solo l’ennesima, mai troppo vistosa, senza scene eclatanti». Gloria non ha nessuna voglia di smettere di pensare a un cosa potrebbe essere.
Del Tigre, intanto, ancora nessuna traccia. I tre ragazzi si disperdono, e Gloria si incammina verso casa. Chissà che fine ha fatto il suo fidanzato. Chissà se ci saranno altri uomini nella sua vita – di quello che sarà suo padre, Solano ci dice poco; e forse perché Gloria gli ha detto poco, «fatica a pronunciare il suo nome, l’ha menzionato solo di tanto in tanto»: avrà le sue ragioni. Chissà quanti vetri rotti dovrà ancora calpestare. Si mette a letto, poi sente qualcosa in tasca e si ricorda che dal Torero ha strappato la pagina di una rivista in cui c’era un articolo su un artista che aveva, tempo prima, incontrato per strada e con il quale aveva stretto amicizia. Legge che sta acquisendo popolarità perché una cantante famosa ha inciso una sua traccia, All is loneliness. Forse è questo che le piace di New York, dove tutti sono soli ma dove tutto può succedere.
Tutto è solitudine. Le piace. Quella mattina le sembra una cosa vera. L’unica verità possibile. Una verità che perderà per strada e che dovrà ritrovare, una verità radicalmente diversa da ogni idea di ritrosia e che è ben lungi dall’essere un lamento. Una verità come un cielo. La farà sua da oggi, il giorno in cui Gloria è stata Gloria per la prima volta.
Solano è autore di tre romanzi e di tre testi di non fiction. Ha pubblicato articoli e racconti su diverse riviste americane, tra cui Freeman’s – e di lui, John Freeman ha detto: «Se fra tutti gli scrittori del mondo dovessi sceglierne uno solo per farmi raccontare una storia, Andrés Felipe Solano sarebbe il primo della lista» –, e Gloria è il suo agognato approdo in Italia, il suo primo libro tradotto nella nostra lingua – da Giulia Zavagna –, per merito delle Edizioni Sur. È uscito nell’ottobre del 2024, ed è in corso di traduzione in diversi paesi.
Solano ha una scrittura pulita, cruda e allo stesso tempo sinceramente tenera, e ha la dote pura e chirurgica del grande narratore. Costella il racconto di metafore di un’accuratezza poetica, innalzando azioni quotidiane a un lirismo che non meritano, ma al quale si aggrappano ostinate. Oppure, le abbassa, quando vuole che la poesia scaturisca da queste e non dal paragone. E qui giova assaporarne qualcuna per non restare con l’appetito: «Chiude gli occhi con l’illusione di dormire, anche se, frustrata, presto abbandona l’idea come si abbandona una penna stilografica senza inchiostro»; «Il disagio si somma all’immensa stanchezza lasciata dall’adrenalina quando si ritira come la marea»; «Camminano attenti e cerimoniosi, come se si trovassero nella stanza di un paziente cui hanno da poco trapiantato un cuore nuovo». Usando una sua stessa similitudine, la scrittura di Solano è «leale come l’eco».
Solano è partito da un giorno, un giorno del passato, e ha tratteggiato i lineamenti di una donna, l’ha resa vera e fragile, tenace e delicata. Ha scelto un giorno del passato e ha immaginato i sogni di sua madre, ha indagato quelli infranti, le ha restituito un’immagine pura in cui specchiarsi e riconoscersi e accettarsi, comunque sia andata la sua vita. Ha recuperato un giorno del passato e ha percorso con Gloria un pezzo della sua strada, cullando desideri e asciugando lacrime. Ha capito che la sua giovinezza a New York non è poi così diversa da quella di sua madre, che le luci della New York di lei sono le stesse della New York di lui.
Da un giorno del passato ha immaginato tutti i futuri possibili. I suoi e i loro. Ma forse anche i nostri. Perché Solano ci dimostra come, solo con l’immaginazione, si possa affacciarsi sulla vita dei nostri genitori prima che nascessimo e, in qualche modo, sradicarne i sogni e le paure che li hanno condotti a quello che verrà, a noi. Perché, solo con qualche aneddoto, nel loro percorso si può riconoscere il nostro, noi che siamo non un, ma il loro futuro possibile. Perché, in uno dei futuri possibili, si può allora scovare anche i nostri desideri, i nostri sogni, il giorno in cui siamo diventati adulti.