I fratelli Arkadij (1925-1991) e Boris (1933-2012) Strugackij sono stati probabilmente gli autori più celebri e più originali della fantascienza sovietica, superati nell’Est soltanto dalla fama e dalla narrativa del polacco Stanisław Lem. Al pari di Lem con Solaris, anche gli Strugackij devono parte della loro fama internazionale all’adattamento cinematografico, sia pure liberissimo, che Andrej Tarkovskij fece del loro romanzo Picnic sul ciglio della strada nel 1979, con il titolo di Stalker. La loro opera narrativa tuttavia si dipana in decine di titoli che costituiscono un immaginario a sé stante, che annovera alcune delle pagine più dense della fantascienza letteraria, il riflesso della percezione del futuro proveniente dalla semi-dittatura semi-ideologia più longeva del secolo.

Dopo precedenti pubblicazioni come La città condannata, L’albergo dell’alpinista morto e Destino Zoppo, Carbonio Editore prosegue la sua opera di recupero dei romanzi degli Strugackij in Italia, dando alle stampe Lo scarabeo nel formicaio, uno dei loro libri più folgoranti e tetri, tradotto in italiano da Claudia Scandura. In un vago XXII secolo, il protagonista del romanzo, Kammerer, membro del COMCON (la commissione di controllo sugli esperimenti scientifici e sui contatti con gli extraterrestri), è incaricato di dare la caccia al misterioso Lev Abalkin, arrivato sulla Terra dal pianeta Sarakš, dove era diventato un progressore, ossia un facilitatore per l’evoluzione delle razze aliene, garante per la sicurezza dell’Umanità nei rapporti con queste ultime. Dopo una lunga indagine tra le vecchie conoscenze di Abalkin, condotta da Kammerer fingendosi un giornalista, l’uomo scopre un inquietante segreto relativo a tredici embrioni umani rinvenuti su un esopianeta, realizzati da un’oscura razza aliena chiamata i Viandanti. La scoperta di questa specie aliena ha la capacità di far cadere chiunque indaghi su di loro in una nera disperazione: «ragazzo mio», dice a un certo punto il direttore del COMCON Sikorski a Kammerer,

ci stai pensando da appena un’ora e mezza, e io mi sto scervellando da quarant’anni. E non solo io. E non siamo riusciti ad arrivare a nulla. Ecco quel che è peggio. Non arriveremo mai a niente, perché anche i più intelligenti ed esperti di noi non sono che uomini. Non sappiamo che cosa vogliano. Non sappiamo di che cosa siano capaci. E non lo sapremo mai. L’unica speranza è che nel nostro agitarci, in modo febbrile e disordinato, riusciamo a compiere un passo che loro non hanno previsto.

Anche il finale lascerà scoperto l’interrogativo se Abalkin sia un innocuo «scarabeo nel formicaio» o un pericoloso agente alieno in grado di mettere a repentaglio l’esistenza dell’umanità: ma il suo destino zoppo, da irrimediabile diverso, è fatalmente segnato.

Il merito che Lo scarabeo nel formicaio ha, in una visione più ampia della fantascienza, è quello di affrontare scopertamente due questioni interconnessee che il genere spesso sfiora, ma raramente esplora: l’ibridazione e la contaminazione. Sin dal titolo infatti il romanzo degli Strugackij, che prende la forma di una detective story fantascientifica, indica una particolare riflessione sulle implicazioni che l’inserimento di un elemento etimologicamente alieno provoca in un microcosmo:

persone intelligenti, per pura curiosità scientifica, hanno introdotto uno scarabeo nel formicaio e con grande diligenza registrano tutte le sfumature della psicologia delle formiche, tutti i particolari della loro organizzazione sociale… E le formiche sono spaventate a morte, le formiche corrono di qua e di là, sono preoccupate, sono pronte a dare la vita per il formicaio natio, e non si rendono conto, poveracce, che lo scarabeo alla fine striscerà fuori dal formicaio e riprenderà la sua strada, senza aver fatto il minimo danno…

Denso di immagini e presenze animali che psicoanaliticamente sarebbero piaciute a James Hillman, Lo scarabeo nel formicaio è un romanzo che insistentemente flirta con l’ipotesi e l’angoscia della friabilità della civiltà, lucidamente inquadrata dagli scambi tra i personaggi nel suo reggersi su compromessi, silenzi, segreti di Stato. È un romanzo figlio dell’URSS, certo, ma affonda la sua forza in pulsioni e componenti archetipiche che vanno ben al di là della Storia.

A dover giudicare dalla lettura de Lo scarabeo nel formicaio, la differenza tra la fantascienza sovietica e la fantascienza occidentale classica si potrebbe individuare anche in una caratterizzazione diversa del protagonista: se soprattutto la sci-fi della golden age d’Occidente, prima letteraria negli anni Cinquanta e poi cinematografica tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta, metteva in risalto un protagonista attivo e in evoluzione, fedele alla categoria classica dell’eroe, al cuore del romanzo degli Strugackji ci sono dei personaggi che agiscono sempre e comunque su ordine altrui, il cui arco narrativo si risolve nella morte o nella presa di coscienza delle proprie limitazioni. Se in Occidente è facile tracciare il confine tra una fantascienza positivista, speranzosa e sostanzialmente ottimista nei confronti del futuro e delle evoluzioni della società – di cui Asimov, Bradbury e Clarke furono i massimi alfieri – e una fantascienza autocritica che a partire soprattutto dagli anni Sessanta si mise a puntellare il cliché del genere – e qui è Philip K. Dick il gran maestro – una volta epurata dalla pura propaganda sovietica la fantascienza made in URSS si mantiene indelebilmente su tonalità fosche, prossime alla distopia. Di più: se la fantascienza occidentale si mostra irrimediabilmente prona ad assorbire il modello platonico, nell’implicare un futuro mondo ideale nella fantascienza massimalista, o se mai nel tratteggiare un incubo di repliche, di matrici e di copie come in tutto il filone che va da Dick fino a Matrix, la fantascienza sovietica si mostra perennemente consapevole del lato oscuro dell’utopia, ideando mondi enigmatici in cui la forza del potere costituito è tanto fumosa quanto capillare.

Se è vero che con Lo scarabeo nel formicaio i fratelli Strugackji scrivono un libello filosofico-morale in cui mettono in primo piano il problema della amoralità di qualsiasi civiltà che attenti alla libertà dell’individuo, come scrive Claudia Scandura nel suo commento finale, sin dal titolo il romanzo testimonia la paura di un collasso apocalittico della civiltà per opera di un singolo agente del disordine che, distruggendo i confini, si riproduce per mimesi fino a colpire al cuore del sistema – un incubo girardiano, se vogliamo.

Pare che colpevole di tutto fosse la razza di schifosi non-uomini che si era sviluppata e moltiplicata nelle viscere del pianeta. Quattro decenni prima questa razza aveva dato inizio all’invasione della popolazione locale. L’invasione iniziò con una pandemia senza precedenti, che i non-uomini diffusero contemporaneamente su tutto il pianeta… La pandemia infuriava da tre anni, quando i non-uomini per la prima volta resero nota la loro esistenza. Proposero a tutti i governi di organizzare il trasferimento della popolazione nel ‘mondo confinante’, cioè il loro, nelle viscere della terra. Promisero che là, nel mondo confinante, la pandemia sarebbe scomparsa da sola e allora milioni di persone spaventate si precipitarono in pozzi speciali da dove, ovviamente, nessuno era più tornato. Così, quarant’anni prima, era perita la civiltà locale.

Passaggi come questi non lasciano indifferenti dopo che il Coronavirus, trasmettendosi per contagio tra gli uomini, ha bloccato il pianeta per diversi anni, con conseguenze tuttora tangibili nella società, nell’economia, nel costume e nelle grandi narrazioni di Hollywood e delle piattaforme streaming come Netflix e Amazon, ormai transazionali.

Il successo di una serie di fantascienza distopica come Squid Game, nata in Corea del Sud, ma forte di un linguaggio e di una serie di riferimenti culturali e “nerdici” che scavalcano la secolare differenza tra Oriente e Occidentale, dimostra appieno quanto la fantascienza e in generale il cinema “di genere” possano essere precursori e poi agenti di sintesi di una contaminazione reciproca tra Est e Ovest che, al netto della guerra in Ucraina e delle sue conseguenze sull’economia mondiale, ormai va data per definitiva. È proprio alla luce della fantascienza contemporanea che vale la pena di rileggere Lo scarabeo del formicaio, testo ed extra-testo, per scoprire tutte le implicazioni socio-politiche e i tentativi censori che il romanzo degli Strugackij suscitò in Unione Sovietica al momento della sua composizione e pubblicazione.

La stesura del romanzo tenne impegnati gli Strugackij dal 1975 al 1979 a più riprese e, per quanto la stretta censoria sugli scrittori si fosse molto relativamente allentata, i due autori sapevano che al termine del lavoro avrebbero dovuto affrontare i portavoce del regime sovietico e le loro aspettative sulla letteratura. Non mancò neanche un curioso incidente con un redattore della casa editrice statale, la Lenizdat, che si era convinto che il verso sulle bestie insorte nascondesse un’allusione a una vecchia marcetta della gioventù hitleriana, e che li costrinse a lasciare la filastrocca solo nel testo, rimuovendola come epigrafe – «non avremmo mai accettato una tale beffa se il romanzo non fosse stato incluso in una raccolta che comprendeva anche opere di altri autori, per cui ne veniva fuori che per la nostra ‘capricciosa cocciutaggine’ ci rimettevano colleghi scrittori che non avevano nessuna colpa». Eppure, come ricostruisce il solo Boris Strugackij in una postfazione al romanzo datata 2001, l’idea alla base de Lo scarabeo nel formicaio nacque quando suo figlio improvvisò una poesiola che diceva «le bestie insorte / erano alle porte / a loro spararono / e quelle spirarono», portando spontaneamente l’autore a immaginarsi scene confuse di «mostri terribili e infelici… deformi, spaventosi, cercavano aiuto e contatto umano, ma ricevevano invece una pallottola da gente spaventata che non capiva nulla…». A volte è ascoltando le fantasie dei bambini che i grandi scrittori concepiscono i più grandi incubi totalitari.


Arkadij e Boris Strugackij, Lo scarabeo nel formicaio, traduzione italiana di Claudia Scandura, Milano, Carbonio Editore, 2024, € 18,50, 300 pp.