«Arriva, trovò il fiato di spiegare, un affare spaventoso come una cucina che si trascina dietro un paese». Così in Cent’anni di solitudine l’Ursula di Gabriel Garcia Márquez restituisce l’approssimarsi del primo treno a Macondo, sottintendendo che con quest’ultimo giunge, di conseguenza, il progresso. Macondo è un villaggio ai confini del mondo e l’imposizione tutta forestiera di un dispositivo tecnologico, per i suoi abitanti semplicemente incomprensibile, ne devasta i già precari equilibri interni. Le basi su cui poggiano le gerarchie di borgo, quelle non scritte ma convenzionalmente accettate, fanno presto a essere minate se subentrano, dall’esterno, novità poco gradite. Giampiero Muroni, autore del romanzo Zafferano (Edizioni Il Maestrale, 2024), racconta la Chiaramonti di inizio Novecento, un paesino nel Nord della Sardegna dove un’innovazione quale il mulino a gas, come in Márquez, scardina gli ordini precostituiti:

Si trasferisce a Chiaramonti nel giugno del 1902 per installarvi un mulino a gas povero: lo fa proprio nel giorno della festa di San Giovanni, il 24, guidando una carovana di carri che trasportano le bielle, la caldaia e il tubo metallico della ciminiera appena sbarcati a Porto Torres. La gente scende in strada e osserva stupita la processione, che pare quasi quella di un circo. Davanti a un simile spettacolo più di qualcuno deve aver pensato tra sé che finalmente anche lì è arrivato il secolo moderno (p. 29).

Accolta con sorpresa e sgomento, come «la cucina che si trascina dietro un paese», la venuta della modernità non giova però a tutti: il secolo moderno arriva come un cambiamento che non è frutto di una maturazione autoctona, bensì di importazione, ed è perciò difficile che colga preparato chi lo subisce.

Gabriele Angius, il mugnaio proprietario del suddetto mulino, è appunto un forestiero, e nel farsi portatore di modernità si attira antipatie generalizzate («Una specie di vittima della tradizione che si oppone al progresso. Una specie di eroe della “Rivoluzione industriale” a Chiaramonti!», p. 94): garantendo prezzi moderati grazie alla produzione in larga scala mette in ginocchio i piccoli impresari del luogo. Ciononostante, quando Gabriele viene assassinato, gli inquirenti riescono a risalire soltanto a potenziali moventi amorosi, come se la gelosia di un singolo fosse il vero motore della sua morte violenta, mentre i complicati intrecci paiono dire altro.

Tiberio, professore in pensione e appassionato di ricerche archivistiche, riapre decenni dopo il cold case poiché la sua ex amante Elisabetta, sapendo che in passato è stato molto legato alla vicenda, gli propone di buttare giù un soggetto per uno show televisivo, Zafferano, di cui lei è produttrice. Non sarà facile per Tiberio raccapezzarsi tra le omissioni e le ambiguità nelle testimonianze rilasciate al tempo dei fatti, che lo condurranno sovente in un vicolo cieco. Le indagini di Tiberio sono sì incentrate sull’omicidio del mugnaio, ma la loro vera ragion d’essere, ai fini narrativi, sembra essere quella di mostrare un ambiente dove gli interessi di pochi gravano sulle esigenze di molti, in un contesto storico che ha connotati senz’altro attuali.

Il romanzo si sviluppa su direzioni diverse: la storia di Angius, le vicissitudini di Tiberio alle prese con l’incomunicabilità che affligge il rapporto con suo figlio Luigi, la nostalgia per una relazione amorosa che poteva essere ciò che, alla fine, non è stato. Un vero viaggio nelle fragilità umane che invita a pretendere non la verità costi quel che costi, ma una verità possibile, che è quella a cui in definitiva i personaggi si devono rassegnare. E proprio questi personaggi sono caratterizzati da una complessità profonda: il protagonista stesso, più volte afflitto dalla frustrazione, non ne esce moralmente sconfitto, mentre dall’altra parte Elisabetta dimostra, dietro un’apparenza da donna inscalfibile, una sensibilità fuori dal comune, tanto che si farà carico, per prestare fede a una promessa, dell’oneroso compito di vegliare su Luigi quando sua madre non potrà più.

Lo svolgersi della narrazione è ben supportato da una lingua che, nella sua generale medietà, senza che quindi ci siano oscillazioni di registri o stili, si rivela chiara e funzionale a supportare la linearità della trama.

Zafferano, nonostante ruoti intorno a un delitto, non è da considerare un giallo tout court: gli elementi che lo caratterizzano ne fanno anche un romanzo di formazione in cui Tiberio, ma non solo, raggiunge nuove consapevolezze e si scopre bendisposto verso le nuove possibilità che i cambiamenti nella sua vita hanno portato.

Se in apertura si è detto che Zafferano rimanda per alcuni aspetti a Cent’anni di solitudine, non mancano passaggi che ricordano lo stile e la trama di Paese d’ombre di Giuseppe Dessì: si veda a tal proposito la descrizione di Serafina Naitana, donna di cui Angius, si vocifera, è innamorato, assimilabile alla medesima fenomenologia con cui Dessì presenta Valentina Manno, sposa di uno dei personaggi principali del suo romanzo. Entrambe le donne sono legatissime al padre e da lui sostenute e si mostrano, data la loro ambiziosità, in forte controtendenza rispetto alle consuetudini dell’epoca in cui vivono. In aggiunta, Norbio da una parte e Chiaramonti dall’altra offrono, tramite la rappresentazione di una precisa quotidianità, la chiave di lettura per fenomeni più ampi e nazionali, assicurando uno stimolo di riflessione incessante.  

Segnaliamo infine un anacronismo: Luigi gioca con le figurine dei Pokémon nel 1993, ma la serie animata giapponese è stata creata nel 1996. Una svista che stona nell’ambito di un lavoro ben congeniato o una voluta imprecisione? Tiberio sta ricordando un momento doloroso del suo passato quando si riferisce a questo episodio, ed è forse possibile che l’autore gli abbia voluto attribuire una mancanza, come del resto la complessiva coerenza interna lascia sospettare. Ne risulta un’opera che lascia piacevolmente perplessi, afflitti da dubbi che restano irrisolti.


Giampiero Muroni, Zafferano, Nuoro, Il Maestrale 2024, € 20, 176 pp.